Astenia e astensione: Il voto sottovuoto

Che cos’è il “voto” senza votanti? Sarebbe come mettere il vuoto sottovuoto: non serve e non conserva nulla. Per di più, se i piatti della bilancia tra votanti e non-votanti si compensano, accade una cosa quanto mai curiosa: benché da un lato ci sia il nulla, dall’altro il pieno del 50 per cento degli elettori che si sono avvalsi del loro diritto di voto illumina solo la metà del volto del Paese, aprendo una gravissima crisi di fiducia nei confronti dell’organizzazione e dell’offerta politica (partitica, in particolare) esistenti. In buona sostanza, si avverte una profonda frattura che, da un lato, investe il profilo carente e il carisma inesistente delle candidature calate dall’alto, per scelta diretta delle segreterie e, più, spesso dei leader politici padri-padroni di partiti e movimenti. Dall’altro, nell’era della globalizzazione, la dimensione mondialista dell’economia e della politica rende sempre più marginali i podestà, che risultano sempre più poveri di risorse, avendo spesso, tra l’altro, già consumato il proprio il territorio, lasciando mano libera all’abusivismo, alla speculazione e lottizzazione selvaggia, pur di fare cassa con la tassazione degli immobili e rilanciare in modo malato l’economia locale.

Anche qui, in presenza di risorse finanziarie sempre più scarse e di una situazione debitoria drammatica del Paese, è chiaro come le economie di scala attuate dalle varie manovre finanziarie vadano a penalizzare sensibilmente le dotazioni e i trasferimenti verso gli Enti locali che, in genere, non hanno né le capacità professionali, né la volontà politica di procedere a drastici tagli nella spesa sociale e nei servizi, in modo da riprogrammare e ottimizzare le loro attività istituzionali. È a questo punto che le drammatiche conseguenze di una demagogica, quanto velleitaria riforma del Titolo V della Costituzione, approvata nel 2001, svolgono in pieno i loro effetti distopici. Anziché mettere al centro un concetto molto semplice, ovvero clonare i migliori moduli organizzativi (per classi demografiche di comuni e caratteristiche territoriali omogenee), ponendo a fattor comune sistemi informatici e applicativi sviluppati erga omnes a livello unico nazionale, in modo da costruire Big Data e algoritmi fruibili allo stesso modo per tutti gli uffici e i servizi pubblici degli Enti locali territoriali, si è lasciato spazio all’anarchia incontrollabile del fai-da-te in base a un concetto anacronistico e deleterio di autonomismo.

Bastava, per questo, costituire un Fondo unico nazionale per l’omologazione e l’allineamento organizzativo-funzionale universale, secondo un criterio illuminato di benchmarking (copiare da chi fa meglio), riguardante tutti i nodi (Comuni) delle rete territoriale, al fine di clonare e innestare nelle varie realtà i moduli organizzativi più performanti. Un Fondo, quindi. che andasse a sostenere l’upgrade della qualificazione professionale della burocrazia locale, adeguando sia verso il basso che verso l’alto gli organici degli Enti, per poi perequarne la strumentazione nell’ottica della digitalizzazione integrale dei servizi al cittadino, della semplificazione e della massima trasparenza amministrativa. Poi, ci sarebbe da mettere mano all’altro, inquietante black-hole: la pochezza amministrativa e l’incompetenza delle classi politiche locali. Rispondendo, in particolare, alla seguente domanda: come mai la burocrazia esige il reclutamento per concorso e la verifica rigorosa delle competenze dei suoi impiegati, mentre invece “La Qualunque” (nel senso di un Signor Nessuno, senza alcuna preparazione specifica) può disinvoltamente andare a dirigere l’intera baracca? Ma se per guidare un autobus con qualche decina di passeggeri occorre un’abilitazione specifica, come mai per far navigare un transatlantico con molte migliaia di persone a bordo si può (e spesso si fa) mettere al timone un assoluto sprovveduto, solo perché un leader maximo ha così deciso?

Aggiornato il 07 ottobre 2021 alle ore 10:32