Il nuovo tradimento dei chierici sta nell’abolizione della verità/2

L’abolizione della realtà

Le etichette delle scuole postmoderniste erano diverse, ma la distruzione della nozione di verità – e con essa quella di valore – rispondeva a un obiettivo comune: tutte portavano il loro sassolino alla demolizione della cultura e della tradizione occidentale, dato che erodere quelle nozioni significa destituire di fondamento la verità e il valore che la civiltà occidentale dei diritti e delle libertà, nonostante le sue imperfezioni, racchiude in sé. Basta raffrontarla non a un’ipotetica e inesistente civiltà ideale priva del male (come fanno i suoi detrattori), ma a tutte le altre civiltà realizzate per scoprire quella verità e quel valore. È proprio nella negazione di quella verità e di quel valore e nella conseguente svalutazione della civiltà occidentale (fondata non su una verità assoluta, ma sul pluralismo e sulla esistenza di una verità relativamente più vera e di maggior valore della altre, come quella scientifica) che sta la sostanza del tradimento degli intellettuali impegnati di oggi.

Dalle aule universitarie e liceali e dai mass-media venne diffuso il nuovo Vangelo, “la verità non esiste” e “non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. E, quindi, “non esiste nemmeno alcuna realtà oggettiva”. Le parole verità e realtà cominciarono da allora a essere messe sempre tra virgolette. E ancor oggi lo sono sempre e “rigorosamente”. È evidente che tesi del relativismo radicale sono plausibili solo in un’aula universitaria e in ambito strettamente e puramente filosofico, dove davvero esistono solo interpretazioni e i fatti contano poco o nulla. La truffa consisteva nell’affermare o nel lasciar credere che quei sofismi fossero acquisizioni generali e una guida per il pensiero e per l’azione pratica. In realtà, in quelle lezioni era implicito (quasi una strizzatina d’occhio) che gli allievi, usciti dall’aula universitaria, si sarebbero guardati dal provare la irrealtà del primo albero vicino precipitandovisi contro con una motocicletta. Quei sofismi diventano una truffa anche quando negano che esistano diversi gradi di verità a seconda e a misura dei metodi di documentazione e verifica (e dei test di falsificazione) che si adottano per conseguirle. Seguendo quei sofismi relativisti, l’astrofisica einsteiniana non avrebbe un contenuto di verità maggiore dell’astrologia e una diagnosi medica non sarebbe più affidabile delle terapie di uno sciamano.

L’abolizione del valore

Ma c’è di più: se ogni affermazione ha lo stesso valore di ogni altra e non esiste alcuna verità che sia più vera di un’altra, allora non esiste alcun valore che valga più di un altro. Se tutto ha un eguale valore, nulla ha valore perché ha valore solo quello che vale di più. Non esisterebbe perciò nemmeno un’etica e tanto meno una cultura che possa fondatamente dirsi “migliore di un’altra”.

Ah, ma davvero? Chi sarebbe disposto a sostenere che una cultura primitiva e tribale che lapida le adultere, precipita dalle finestre gli omosessuali e che pratica la mutilazione genitale alle bambine ha un eguale valore di una cultura liberale? E che dire della cultura mafiosa? Sarebbe anch’essa di “eguale valore”? Se tutto ha un eguale valore nessuna balla può essere fondatamente definita “fake news” e l’opinione di uno scienziato nel suo campo di ricerca varrebbe quanto quella di un qualsiasi uomo della strada. È quello che avviene spesso su Internet. Non è stato detto forse che “uno vale uno”? Siamo arrivati così al punto centrale e politico della vicenda e di quello che sta più a cuore agli intellettuali che pretendono di ribaltare il mondo (occidentale) con una rivoluzione culturale. Tutti quei ragionamenti sofistici del relativismo radicale servivano e servono per dimostrare che la civiltà occidentale, quella dei diritti e delle libertà, non può dirsi migliore di alcuna altra. È questo il nocciolo e il fine ultimo del discorso relativista radicale. Si badi che il relativismo radicale non evita l’assolutismo, ma anzi vi ricade nel momento in cui afferma che nulla è vero e tutto è relativo, tranne il relativismo che diventa così un nuovo assoluto: il relativismo assoluto diventa l’unica Verità incontrovertibile, un dogma, sul quale è possibile costruire un pensiero unico, e nichilista per giunta.

La decostruzione dell’Occidente

Il tradimento dei chierici è evidente e si completa soprattutto nella loro volontà di distruzione della stessa loro civiltà, la loro stessa casa natale. Oggi, dopo la caduta e liquefazione del marxismo e della Chiesa moscovita del comunismo internazionale, l’ex intellettuale organico si pone il problema: trasformare il mondo ma verso quale scopo finale? La sua soluzione è significativa: se si deve rinunziare alla rivoluzione e anche alla meta finale del comunismo, ciò non significa che non si debba continuare a perseguire la decostruzione dell’Occidente, civiltà geneticamente colpevole e fonte del Male radicale globale. Dalla sua decostruzione e dal suo ribaltamento nascerà – secondo lui – comunque e quasi magicamente una misteriosa “società nuova”, questa sì “migliore” perché più inclusiva, dato che saranno state eliminate le radici del male radicale, che non stanno più nella proprietà privata, ma nella discriminazione.

Significativa e rivelatrice dell’atteggiamento del chierico impegnato contemporaneo è tra le altre la “confessione” di Alberto Asor Rosa che gli affida un compito chiaro dopo la sconfitta del comunismo: “La missione dell’uomo della sconfitta è oggi quella di obbligare l’Occidente a vedersi e dunque aiutarlo a dissolversi” (Alberto Asor Rosa,La guerra: sulle forme attuali della convivenza umana”, Einaudi, 2002).

Sembrano seguire la sua indicazione quei professori americani e inglesi che animano il movimento “woke” e la cosiddetta “cancel culture”, dedita alla cancellazione di opere e autori classici sulla base di una critica anacronistica e moralistica, col pretesto anti-razzista e anti-colonialista. Essi tradiscono l’autonomia della cultura (e dell’arte) dall’etica e dall’utile, che è il maggiore fondamento della modernità e dello status e della funzione stessa dell’intellettuale moderno. Il tradimento dei chierici multiculturalisti è sia teorico, sia pratico: predicano e promuovono un’impossibile convivenza di sistemi giuridici illiberali estranei accanto a quelli liberali in territorio occidentale, promuovono presunti “diritti” culturali delle comunità (a scapito dei diritti fondamentali individuali) e favoriscono la penetrazione di culture estranee illiberali, tribali e teocratiche (considerate di “eguale valore” rispetto a quella cristiana e liberale) alle quali cedono fette di territorio europeo (le cosiddette no-go zone) e aprono le porte con un’immigrazione illimitata e incontrollata, negando agli Stati europei il diritto di difendere i confini di cui auspicano persino la sparizione. Essi contribuiscono così all’erosione dello stato nazionale in Occidente.

Con eguale animo anche i fautori dell’ideologia del gender contribuiscono fortemente all’erosione dell’istituto familiare e della stessa nozione di natura umana, almeno per quanto riguarda l’esistenza e la rilevanza del sesso biologico maschile e femminile. Quel che è più grave è infatti che lo facciano non su una base scientifica, di un più comprensivo paradigma scientifico, ma sulla base dell’ideologia “antidiscriminatoria” del gender. Essi così negano non solo il buon senso comune, ma anche il valore stesso della verità e della scienza, che è un cardine della modernità (non solo occidentale) e della funzione dell’intellettuale moderno.

È da quelle fonti avvelenate che è nata e si è diffusa l’ideologia del politicamente corretto: se l’intellettuale non crede al fondamento veritativo ed etico di quello che insegna, insegnerà ciò che egli crede sia “politicamente corretto”, “socialmente utile” o “moralmente edificante”, senza più controlli fattuali, logici e scientifici: ricadrà cioè nell’ideologia pura e semplice e se ne sentirà incolpevole e anzi orgoglioso, perché avrà trasformato il compito degli intellettuali in una moralizzazione “progressiva” del discorso pubblico.

Giornalisti, scrittori, registi e magistrati

Risultato del relativismo assoluto e nichilista è che milioni di studenti escono oggi dai licei e dalle facoltà umanistiche delle Università occidentali, avendo appreso solo poche nozioni e per giunta nichiliste: danno per certo e incontrovertibile che “la verità non esiste e non esistono nemmeno gradi diversi di verità”, che “non esistono fatti, ma solo interpretazioni”, che “nulla ha davvero valore” e che l’Occidente è una civiltà reproba da distruggere. Apprendono anche che la cultura consiste tutta nel pensiero negativo progressista che, essendo costituita solo da una serie di “anti” è orientata a distruggere e non a creare nulla di positivo.

Così, dato che non esiste alcun tipo e grado di verità, il giornalista si sentirà assolto se viene meno alla sua deontologia e propagherà perciò se non notizie false, notizie presentate in maniera partigiana e fuorviante, ma mirante a uno scopo pratico, politicamente corretto o opportuno o socialmente desiderabile tal che possa a un tempo servire una causa e le proprie ambizioni di carriera. Altrettanto farà il conduttore radio-televisivo. Lo scrittore e il regista cinematografico saranno ossessionati da un finto realismo costruttivo e moralistico e sceglieranno temi e personaggi edificanti, adatti a diffondere un “messaggio” buonista e progressista alieno da ogni senso tragico della vita. Il magistrato poi dalla scomparsa della verità oggettiva si sentirà filosoficamente autorizzato a non tenere conto dei fatti ed a sostituirli con le più ardite interpretazioni. Non si sentirà obbligato a cercare prove fattuali e le sostituirà con meri indizi e ipotesi, che sembrino confermare teoremi precostituiti atti a servire una causa ideologica costruttiva ed edificante o semplicemente se stesso.

La parabola di una parte della magistratura in Italia è emblematica del tradimento degli intellettuali. Negli anni ’70 del secolo scorso si formò una corrente di magistrati “democratici” che teorizzavano e praticavano la subordinazione della deontologia e della giurisdizione al progressismo sociale e politico attraverso un’interpretazione delle leggi utile e funzionale alla lotta di classe. Di qui all’organicità rispetto al “movimentorivoluzionario (in voga a quel tempo) o alla linea del “grande partito della classe operaia” il passo fu breve. Quasi automatico e semi-consapevole fu il passo che, dopo il riflusso e ancor più dopo la scomparsa del Partito Comunista, li condusse a usare la giurisdizione e la stessa ideologia allo scopo di servire soprattutto se stessi con un protagonismo narcisista, legibus solutus e persecutorio nei confronti degli avversari del loro potere personale e di casta: un potere vissuto come assoluto e irresponsabile.

La lezione è chiara: se “la verità non esiste” finisce col prevalere prima l’arbitrio del Principe e alla fine quello dell’Io divinizzato. È questo l’esito narcisista, nichilista e illiberale del tradimento dei chierici di ieri e di oggi. È un tradimento della ricerca faticosa e mai conclusa di verità, dell’ansia di oggettività scientifica e di universalità che, benché sempre imperfette e fallibili, sono le ragioni stesse dell’essere intellettuali e uomini. Senza di esse gli intellettuali si riducono a gusci vuoti che predicano la cultura del nulla e della distruzione, si riducono ad élite senza carisma, a parassiti sociali, e a servitori prima di un’ideologia o di un Principe e poi solo di se stessi e delle loro piccole ambizioni di carriera e di potere.

Alfonso Berardinelli con buone ragioni ha scritto: “Voi sapete di mentire, signori chierici… E la cosa più triste è che tutte queste menzogne le dite per il più sordido dei motivi: l’interesse” (Fine).

(*) Leggi la prima parte

Aggiornato il 08 ottobre 2021 alle ore 10:55