Andare in guerra con le armi spuntate

Il centrodestra si sarebbe ricompattato, fisicamente e politicamente, all’assemblea dell’Udc (Unione di centro), tenutasi venerdì scorso a Roma. I lavori si sono aperti con i saluti di Antonio Saccone, cui è seguita la relazione di Lorenzo Cesa, segretario del partito, che lancia un appello al centrodestra: per noi – dice – rafforzare l’Udc significa rendere il centrodestra più forte, competitivo e capace di affrontare e vincere le sfide dinanzi alle quali ci pone la modernità. È necessario – prosegue – rilanciare un partito capace di guardare al centro e di attirare i consensi di quell’area moderata, cattolica e liberale che non si riconosce nel sovranismo, ma nemmeno nell’asse democratico-grillino.

Senza il centro – su questo il segretario Udc non ha dubbi – non si va da nessuna parte. A sostegno di questa sua convinzione lancia un appello agli alleati di Forza Italia, Lega e di Fratelli d’Italia: molti degli elettori sarebbero pronti a collocarsi nella zona centrale dello schieramento politico, per cui è essenziale intercettare quei consensi se davvero si vogliono vincere le elezioni e andare a governare. Infine, arriva l’endorsement alla candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale: è lui il nostro candidato naturale, conclude Cesa.

Quest’ultima parte è l’unica sulla quale si può essere d’accordo con quanto detto dal segretario dell’Udc. Silvio Berlusconi è senz’altro il miglior candidato tra i “papabili” per il Colle, se consideriamo che Mario Draghi farebbe bene a restare dove si trova e che tutti gli altri – da Pier Ferdinando Casini a Romano Prodi, passando per Giuliano Amato – sono personaggi dai quali la maggior parte degli italiani non si sente minimamente rappresentata. Ma soprattutto, semplicemente Berlusconi merita di essere presidente della Repubblica nella misura in cui ha dato prova del suo grande amore per l’Italia durante i suoi anni di impegno politico e di un’abilità non comune come imprenditore e uomo d’affari che, è sempre bene ricordarlo, ha rivoluzionato il mondo delle telecomunicazioni in Italia e ha dato vita a una rete televisiva privata che ha praticamente asfaltato la televisione di Stato.

Eccezion fatta per Berlusconi, tuttavia, c’è poco di condivisibile nel discorso di Cesa: è coi rigurgiti neo-democristiani e con le nostalgie per la “Balena bianca” che non si va da nessuna parte. A maggior ragione, se pensiamo che proprio il democristianesimo è stata la rovina di questo Paese, che se oggi si ritrova indebitato come pochi, paralizzato dalla burocrazia e dall’ipertrofia normativa, incapace di crescere e di allinearsi alle altre nazioni occidentali, oppresso dal clientelismo e dalla partitocrazia, è solo per causa di quello stile politico e di quella mentalità. La Democrazia Cristiana, lungi dall’aver reso grande questo Paese, ha solo fatto in modo che esso prosperasse temporaneamente sulle “magnanerie”, per poi sprofondare nella crisi e nell’immobilismo socio-economico dal quale sembra incapace di uscire. Quindi, di tutto l’Italia ha bisogno fuorché di centrismo come lo intendono Cesa e i suoi sodali.

È sicuramente vero che una coalizione di centrodestra deve saper intercettare anche il consenso di coloro che non si riconoscono nel sovranismo: ma non riconoscersi nel sovranismo non vuol dire necessariamente identificarsi nel centrismo democristiano. Basta poco per non essere a proprio agio col sovranismo: è sufficiente credere che le future sfide del mondo globalizzato non possano essere affrontare singolarmente dagli Stati nazionali, ma che richiedano l’unione e la capacità, da parte di questi, di parlare a una voce sola, di stare assieme e di mettere in comune le loro risorse e le loro capacità. Non serve essere centristi o nostalgici dello “scudo crociato” per pensarla in questo modo. Di conseguenza, non è necessario rispolverare quella retorica, quei simboli e quella nefasta mentalità per attirare i voti dei non sovranisti verso il centrodestra.

Quello che serve è una proposta liberale, che nel fare da contrappeso ai sovranisti sappia farsi interprete di un sentimento abbastanza diffuso tra gli italiani: vivere sotto uno Stato leggero ed efficiente, capace di premiare il merito, la responsabilità e la competenza (non il parassitismo e l’inerzia), rispettoso della proprietà privata e della libertà individuale, in grado di garantire la sicurezza pubblica e la pace civile. E che si limiti a stabilire delle regole generali nel rispetto delle quali ciascuno possa condurre i suoi affari, costruire il suo futuro e compiere autonomamente le sue scelte, saldamente collocato nell’alveo delle democrazie occidentali. La controparte della destra sovranista non può essere il centrismo democristiano, ma la destra liberale che riconosce la centralità dell’individuo e della società civile (famiglie, associazioni, comunità locali, imprese) laddove i sovranisti mettono la nazione al centro di tutto (come se la nazione non fosse fatta da individui) e che ritiene il posizionamento euro-atlantico materia non negoziabile. Si parla di un centro capace di attrarre anche i voti liberali: cosa ci sia di liberale nella proposta dell’Udc e di buona parte di questo centrodestra è cosa che pochi riescono a capire; ma soprattutto, da liberale dico che piuttosto che votare l’Udc preferirei riconsegnare la tessera elettorale.

Se qualcuno pensa che una minestra riscaldata come il centrismo democristiano possa essere un valido argine al sovranismo, ha davvero fatto male i suoi conti: anche il più moderato degli elettori, credo, preferirebbe il più esagitato e radicale dei sovranisti al grigiore depressivo dei centristi e al puzzo di muffa degli scudi crociati che qualcuno insiste a tirare fuori dagli scantinati. Dico di più: se qualcuno pensa di rendere vincente il centrodestra, mettendo assieme questa specie di democristianesimo ringalluzzito e il sovranismo spaccone, allora temo che la sinistra governerà almeno per i prossimi vent’anni.

Ci saremmo aspettati che qualche esponente degli alleati dell’Udc avesse almeno provato a correggere il tiro e a mettere le cose in chiaro. Invece no: al contrario, sembravano tutti galvanizzati dalla proposta di Cesa. Matteo Salvini ha dichiarato di lavorare per un centrodestra unito e di essere spiacente che qualcuno (vaghissima allusione a Giorgia Meloni) pensi solo al suo orticello. La sua Europa – prosegue poi il segretario del Carroccio – non è quella che censura il Natale, chiudendo il suo intervento con una invettiva contro l’utero in affitto. Se quest’ultima presa di posizione è assolutamente condivisibile, come del resto il fatto di volere un’Europa che si occupi di cose più serie che non di imporre la neo-lingua politicamente corretta, non è chiaro cosa Salvini stia concretamente facendo per unire il centrodestra e per promuovere l’idea di Europa che ha in mente, dal momento che i suoi alleati a Bruxelles sono quelli che l’Europa non la vogliono affatto.

È intervenuto poi Ignazio La Russa al posto di Giorgia Meloni, costretta a casa per motivi di salute. Il vicepresidente del Senato ha definito la presenza dei centristi “indispensabile” per il centrodestra e ha sottolineato che il loro protagonismo darà alla coalizione la possibilità di battere la sinistra. Infine, è salito sul palco il coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani, che ha letto una lettera inviata da Silvio Berlusconi, che non ha potuto essere presente all’evento. Il Cavaliere ha scritto che quella centrista è una realtà politica importante e naturalmente affine a Forza Italia, perché se scompare il centro non potrà mai esserci un centrodestra di Governo. Non bisogna lasciare che le sinistre si impadroniscano di quest’area politico-culturale, ha aggiunto poi Tajani: ragion per cui è necessario mobilitarsi.

Non credo che la sinistra non abbia alcun interesse a mettere le mani sui voti centristi: che sono irrilevanti in termini numerici e che costituiscono, semmai, un peso morto per l’azione di Governo. Come dimostra l’esperienza dei governi Berlusconi e del Governo Prodi del 2006-2008, questo tipo di centristi sembrano fatti appositamente per rallentare l’azione dell’Esecutivo e per impedire che si facciano quelle riforme necessarie per l’Italia. A questo proposito, non scorderò mai come Antonio Martino abbia imputato proprio ai neo-democristiani (oltre che ai neo-missini) il fallimento della “rivoluzione liberale” di Berlusconi. Quindi, questo tipo di centro è solo un intralcio. La sinistra è forse troppo furba per volerlo tra i piedi: piuttosto sono meglio i grillini. Quello che è avvilente è il “tafazzismo” da cui la destra di questo Paese sembra essere affetta.

Questo centrodestra “catto-sovranista”, che crede di battere gli avversari tentando di propinare agli italiani un programma che è un miscuglio di collettivismo economico, euroscetticismo e passatismo della peggior specie (debitamente unito a qualche sprazzo di liberalismo improvvisato qua e là, giusto per non farsi mancare niente) non ha centrato il punto. Gli italiani vogliono riforme capaci di mettere l’Italia nelle condizioni di diventare un Paese competitivo, efficiente, dinamico e in grado di dare a ciascun individuo la possibilità di realizzarsi e di perseguire i suoi obbiettivi professionali ed esistenziali. Il resto sono chiacchiere e tiritere da Prima Repubblica, che non appassionano nessuno e che di certo non aiuteranno a vincere nessuna tornata elettorale.

Aggiornato il 07 dicembre 2021 alle ore 12:44