Elezioni, Pd: Letta non si dimette, “traghetta”

lunedì 26 settembre 2022


Da leader a traghettatore del Partito democratico il passo è breve. Enrico Letta, sconfitto sonoramente alle Politiche, non si dimette dalla segreteria. Vuole guidare i Pd fino al congresso, per tutelare l’interesse della frastornata comunità dem nelle fasi che preparano l’assise nel corso della quale sarò eletto il suo sostituito. L’obiettivo è evidente: impedire che il renzismo possa tornare a governare il partito. Letta ha lanciato la sfida a Giorgia Meloni e ha perso. Ambiva al 30, raccoglie un misero 19 per cento. “Faremo opposizione dura e intransigente”, promette nel corso di una conferenza stampa convocata al Nazareno.

Letta ha commesso un’infinità di errori di sottovalutazione. Non ha compreso la “ripresa” dei pentastellati a trazione contiana, non ha valutato il “pericolo” rappresentato da Carlo Calenda, ha invocato un campo largo che è diventato strettissimo. Ora l’ex premier non nasconde la propria amarezza. “Gli italiani e le italiane – afferma – hanno scelto, una scelta chiara e netta, la destra. Il Paese avrà un governo di destra. Oggi è un giorno triste per l’Italia e l’Europa. Questa legislatura sarà la più a destra, è un rammarico profondo ma anche uno stimolo a continuare a lottare”. Dopodiché, l’attenzione di Letta di sposta sull’inevitabile partita interna. “Nei prossimi giorni – sostiene – riuniremo gli organi di partito per accelerare il percorso che porterà a un congresso. Sarà un congresso di profonda riflessione, sul concetto di un nuovo Pd che sia all’altezza di questa fida epocale, di fronte a una destra che più destra non c’è mai stata”. Letta non intende fare un immediato passo indietro.

“Assicurerò con spirito di servizio la guida del Pd fino al congresso a cui non mi presenterò da candidato”. Poi, analizza il voto. “I numeri dimostrano – sottolinea – che l’unico modo per battere la destra era il campo largo. Non è stato possibile non per nostra responsabilità”. I nomi in campo sono noti da tempo. Il candidato alla segreteria più citato è il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che trova il sostegno degli ultimi renziani del partito, ma anche di una rete di sindaci e amministratori locali. Si profila il nome anche della sua vice, la pasionaria Elly Schlein. Leggermente staccati sono il ministro del Lavoro Andrea Orlando e l’ex ministro del Sud Peppe Provenzano, vicesegretario dem uscente.

Durante l’incontro con i giornalisti, Letta non resiste alla tentazione di attaccare, ancora una volta, Carlo Calenda. Per il traghettatore quello di Azione è stato “fuoco amico come dimostra la candidatura di Calenda nel collegio di Emma Bonino, che ha finito per aiutare l’elezione della candidata di destra. Oggi il Pd, pur con un risultato insoddisfacente, ma è il secondo partito del Paese e il secondo gruppo parlamentare e la prima forza di opposizione”.

Persino uno degli sponsor di Letta, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, usa il fioretto per “infilzare” il segretario. “Il problema – twitta – non era il campo largo. Ma non averlo avuto. Divisi si perde tutti. La destra entra a Palazzo Chigi e deve riflettere chi per tre anni non ha fatto altro che picconare in maniera ossessiva e miope questa idea e in genere la cultura unitaria del Pd. Organizziamoci come ha indicato ancora oggi Enrico Letta, per i prossimi appuntamenti a cominciare dalle prossime amministrative e Regionali”.

Letta viene eletto segretario dall’Assemblea nazionale dem nel marzo del 2021. Ora arriva la resa. Seppure posticipata. Fino al congresso.


di Mino Tebaldi