Breviario di oculistica costituzionale

venerdì 25 novembre 2022


Recensione del saggio di Alfonso Celotto “La Costituzione presbite”, Giunti-Bompiani editore, Firenze novembre 2022, pagine 224

L’ultimo libro, in senso cronologico e non di importanza, dato alle stampe dal professor Alfonso Celotto – ordinario di diritto costituzionale presso l’Università degli studi Roma Tre e di recente nominato Capo di gabinetto dal ministro per le Riforme costituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati – parte dalla citazione celebre di Piero Calamandrei, “ragazzo del 1889” giurista militante del Partito d’Azione, eletto all’Assemblea costituente (insieme ad altri giuristi di chiara fama, quali Costantino Mortati e Tomaso Perassi, che ebbero un ruolo determinante in formulazione definitiva nel testo, a seguito dell’opera di limatura e armonizzazione dei ben 1663 emendamenti presentati).

“Secondo me è un errore formulare gli articoli della Costituzione collo sguardo fisso agli eventi vicini (…). La Costituzione deve essere presbite, deve vedere lontano, non essere miope”. Così recita l’intervento del professore processual-civilista fiorentino, alla seduta dell’Assemblea costituente 4 marzo 1947 e da questa lungimirante considerazione prende il titolo l’agile saggio, che coniuga rigore scientifico e piglio divulgativo, tracciando il bilancio della Legge fondamentale alla vigilia del 75esimo anniversario di vigenza della Costituzione repubblicana. L’autore, allievo del professor Franco Modugno – attuale giudice della Corte costituzionale eletto dal Parlamento in seduta comune – ha nel corso dell’ultimo anno pubblicato dei saggi in cui dimostra una non scontata abilità nel saper coniugare erudizione della ricerca e accuratezza delle fonti, con la spigliatezza narrativa e l’accattivante esposizione accanto a dibattiti sui “massimi sistemi”, di fatti e notazioni singolari, capaci di richiamare l’attenzione del lettore e vivacizzare lo scenario del dibattito contemporaneo.

Ci riferiamo sia a “L’enigma della successione. Ascesa e declino del capo da Diocleziano a Enrico De Nicola” (Feltrinelli, Milano 2021), che al di poco successivo saggio romanzato “Fondata sul lavoro” (Mondadori, Milano), dove in maniera e contesti diversi, la narrazione – più strutturata nel primo volume, più spigliatamente romanzata nel secondo – riporta episodi di curiosità (ad esempio, i criteri di vexata quaestio scelta del successore al Romano Pontefice, le peripezie non solo sentimentali di Concetta, domestica siciliana sbarcata in Continente, al servizio di Costituente di belle speranze).

Il libro si presta egregiamente alla funzione di “Manuale avanzato” di educazione civica costituzionale, che ci si augura possa esser letto e, perché no, compulsato a mo’ di breviario, sia dagli operatori del diritto professionali (avvocati, giudici, funzionari pubblici) che dagli studenti delle scuole medie superiori in avanti, in virtù dell’esposizione chiara e lineare, del non appesantimento del testo con note e continui rimandi a piè di pagina, avendo meritoriamente l’autore optato per l’essenziale bibliografia in calce, che riporta tutti i classici, tradotti o meno nel nostro idioma.

Il testo “La Costituzione flessibile” ci ricorda nel capitolo iniziale l’anfibologia del termine Costituzione, sia Legge fondamentale di un ordinamento giuridico, che “il complesso delle caratteristiche morfologiche, funzionali e psichiche tra loro correlate, proprie di ogni individuo” (pagina 15); in sintesi la fisionomia antropologica della singola persona. Non a caso da quando è imperversato il dibattito sulle Riforme costituzionali (dalla Commissione bicamerale Bozzi, 1982), ci sono stati giuristi che hanno scelto l’epiteto significativo di “Custodi della Costituzione” (Leopoldo Elia) e uomini politici, provenienti dalle fila dei Padri costituenti (Oscar Luigi Scalfaro) che in tale ottica conservatrice, e forse improntata troppo al “misoneismo” per formazione culturale, hanno pubblicato pamphlet intitolato “Di sana e robusta Costituzione”. Quindi la duplicità semantica – non ambivalenza – del termine Costituzione, risalente al lemma latino, non è affatto casuale, dove si pensi che la “Salus Rei publicae” era l’indirizzo politico fondamentale dell’ordinamento pre-imperiale.

Sempre nella ricostruzione degli episodi salienti, che condussero al “parto” della Costituzione, l’autore si sofferma  sulla figura di Enrico De Nicola, grande mediatore della svolta di Salerno, riportando per esteso il discorso profferito dal Capo provvisorio dello Stato, all’atto del giuramento in Assemblea costituente nella solenne seduta del 15 luglio 1946: “La Costituzione della Repubblica Italiana… sarà certamente degna delle nostre gloriose tradizioni giuridiche, assicurerà alle generazioni future un regime di sana e forte democrazia” (pagina 58). De Nicola, come noto, venne preferito a Benedetto Croce, Padre morale della Patria ed Emblema dell’antifascismo di matrice liberale, designato dai partiti di sinistra, a significare come in politica la capacità di mediazione spesso abbiano la meglio sulla preparazione.

In tale prospettiva, la prova di oculistica costituzionale è riuscita; infatti accanto al giudizio di Costituzione presbite, di Piero Calamandrei, è bene ricordare la critica di Massimo Severo Giannini – Capo di gabinetto al ministero della Costituente, nel Governo d’Alcide De Gasperi, ricoperto da Pietro Nenni – di “Costituzione miope”, non già nella parte dei diritti e doveri dei cittadini, ovvero nei rapporti economico-sociali, quanto in quella dell’organizzazione costituzionale dello Stato.

Secondo la tripartizione in uso nella dottrina francese (preambule, constitution, bloc de constitutionnalitè), per il maestro Giannini, ferma la vitalità della parte introduttiva dedicata ai Principi fondamentali (articoli 1-12) e ai diritti-doveri fondamentali dell’uomo e cittadino , sarebbe la parte II della Carta (articoli 55-139) a esser risultata, col trascorrere dei decenni, inadeguata per palese miopia, in quanto la forma di Governo parlamentare con premierato inesistente e senza meccanismi atti ad effettiva salvaguardia di continuità e proficuità dell’azione del potere esecutivo, avrebbe scontato troppo le preoccupazioni genetiche dei Padri costituenti, rivolte più al recente passato che al futuro prossimo venturo (non a caso, la sottocommissione, in seno alla Commissione Ruini, deputata all’elaborazione del progetto generale, era presieduta da Umberto Terracini).

Tuttavia, il cantiere costituzionale, come desumibile dagli Atti dell’Assemblea e dalla Relazione d’accompagnamento di Meuccio Ruini, offre il senso della vastità e dell’intensità del dibattito costituente. Assodato ciò, occorre porsi il problema se la durata della Costituzione sia un bene in sé, memori della celebre frase di Thomas Jefferson, che il peggior lascito che una generazione possa fare alla successiva è l’immutabilità della Costituzione (ironia della sorte la Carta degli Usa, con i marginali adattamenti apportati dai vari emendamenti succedutisi nel tempo, ha superato abbondantemente il bicentenario). Celotto riporta come exergo il discorso del 1995 di Giuseppe Dossetti agli studenti dell’Università di Parma, dove il Padre costituente addita: “È proprio nei momenti di confusione o di transizione indistinta che le Costituzioni adempiono alla più vera funzione: quella di essere per tutti punto di riferimento e di chiarimento… Essa, con le revisioni possibili e opportune, può garantirvi effettivamente tutti i diritti e tutte le libertà a cui potete ragionevolmente aspirare”.

Se ritornando a Calamandrei, in compagnia di Ruini e Concetto Marchesi, cita lo sforzo dei Costituenti nella direzione della chiarezza e scarnezza del testo – in quanto la chiarezza è sinonimo di serietà – dobbiamo dire che il legislatore ordinario, da vari decenni, in particolare con la dilatazione dello strumento della decretazione d’urgenza, delle leggi finanziarie omnibus, ha abbandonato tale criterio di presidio della comprensibilità della norma da parte del quisque de populo.

In sintesi, rimandando al libro in esame, ne torniamo ad apprezzare la scorrevolezza e l’immediata comprensibilità, a conferma che il saggio divulgativo è, al pari della Costituzione repubblicana, un testo rivolto non solo agli addetti ai lavori, ma a qualsiasi cittadino, specie in età formativa. Al pari del giovane cattedratico Massimo Severo Giannini che, da Capo di gabinetto nel biennio 1946-1947, diede un contributo essenziale nell’approntamento del più largo materiale preparatorio e di comparazione giuridica per la redigenda Costituzione, chi scrive – animato dalla medesima passione civica che fece dire a Calamandrei che la Costituzione non è un apparato meccanico, varato una volta per tutte, ma un’autovettura che oltre al guidatore necessita dell’apporto di linfa vitale quotidiana dell’impegno di tutti i cittadini, nei rispettivi ruoli – si auspica per il bene del Paese che Alfonso Libero Celotto possa dare il proprio decisivo contributo, con rigore intellettuale e spigliatezza comunicativa, nell’immediato prosieguo al riavvio del processo di riforme costituzionali e istituzionali, di cui l’ordinamento repubblicano ha impellente bisogno.

Infatti, anche la “Costituzione più bella del mondo”, se si vuole usare proposizione enfatica, necessita di un restyling, ben oltre ai piccoli ritocchi apportati dalle ultime leggi di revisione costituzionale.


di Jacopo Severo Bartolomei