Bandiere e bandierine

La povertà della politica italiana, in particolare della sinistra, si rivela spesso attraverso le misere parole d’ordine che adotta. Si tratta di espressioni che vedono una rapida diffusione come termini “corretti”, impiegati anche da commentatori di diverso orientamento.

Ora è la volta delle “bandierine”, parola con cui s’intende svalutare questo o quel provvedimento che l’attuale Governo propone per soddisfare le richieste dei partiti che lo sostengono. Apparentemente la cosa potrebbe essere definita come banale trovata lessicale, ma il suo successo dimostra invece tutta l’insipienza di chi se ne fa portatore pensando di attuare una brillante analisi politica.

Indipendentemente dal giudizio che si può emettere sulle determinazioni del Governo, è infatti del tutto evidente che le “bandierine” non indicano altro che decisioni politiche coerenti con i punti programmatici esposti durante la campagna elettorale. In quanto tali, le bandierine costituiscono un corredo di qualsiasi partito e se, una volta al Governo, un partito se ne dimenticasse, l’opposizione l’accuserebbe, in quel caso giustamente, di tradimento delle promesse elettorali.

Ma l’aspetto più irritante è il fatto che, per mezzo del termine in questione, si cerchi di declassare la politica governativa mostrandone la mancanza di “visione”, altro concetto che va per la maggiore.

Il Partito democratico, in special modo, si scaglia contro la maggioranza accusandola, appunto, di puntare su mere bandierine invece che su una visione generale, come se lo Ius scholae e la depenalizzazione della cannabis, che il Pd ha posto al centro della sua propaganda insistendovi caparbiamente, fossero fulgidi esempi di una visione complessiva della società italiana degna di essere definita come “grande politica”. D’altra parte, un partito che eredita, passando per varie e penose ridenominazioni, una tradizione comunista della quale molti suoi esponenti vantano l’esperienza diretta, sembra piuttosto incauto parlando di bandierine dato che Bandiera rossa è stato per molti anni il suo adorato vessillo. Ma, certo, quella rappresentava il simbolo di una peraltro minacciosa “visione” e non di una semplice attuazione delle promesse elettorali.

Troppi “analisti” stanno perdendo il senso della realtà attuale e, parlando di “visione”, dimenticano che oggi l’Italia – e in misura forse minore per ragioni di ordine economico ogni altro Paese europeo – tende ad essere più che altro una regione europea ed è quindi l’Europa che deve “vedere” il proprio futuro avendo già da tempo operato la scelta fondamentale, cioè quella di essere una società liberale e democratica.

Alla regione italiana spettano quindi decisioni politiche certamente di grande rilevanza, per così dire, “locale” ma sicuramente non quelle di un Paese che pretenda di essere un protagonista completamente autonomo sulla scena mondiale come poteva essere, poniamo, nel passato degli Stati nazionali. Per questo la politica di ogni Paese europeo, come quella di ogni partito al suo interno, non può andare molto più in là di una collezione di “bandierine” le quali, tuttavia, possono rappresentare, se ben fondate, autentiche risorse competitive sul piano internazionale. Parlare di visione senza descriverne il perimetro, significa solo desiderare di porsi in primo piano per catturare negli editoriali e nei talk-show un’adesione pseudo-intellettuale senza fondamento. Scambiando insomma la visione con la televisione.

Aggiornato il 26 novembre 2022 alle ore 10:30