Una manovra troppo “prudente”

In una recente conferenza stampa, Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e Finanze, sul Superbonus 110 per cento – in sintesi – ha opportunamente dichiarato: “Mai vista una misura così costosa a beneficio di così pochi”. Benedette parole! La legge di Stabilità, elaborata dal nuovo Esecutivo, palesa la volontà del nuovo Governo di un’azione improntata alla prudenza.

Le poche risorse, che sono realmente nelle disponibilità del nuovo Esecutivo, sono state impiegate per segnare il percorso che ha intenzione di intraprendere un Governo che si è dato un progetto di legislatura. La scelta è ampiamente motivata dalla situazione negativa dell’economica globale, con una crisi economica iniziata con l’aumento dei prezzi delle materie prime, esplosa con la crescita dei prodotti energetici e consolidata con la guerra russo-ucraina. Una crisi economica mondiale che può essere ulteriormente aggravata dal combinato disposto: alta inflazione e conseguente aumento dei tassi d’interesse.

Per il 2023 le aspettative economiche a livello mondiale sono di una stagflazione, nel migliore dei casi o di una vera e propria recessione – nell’ipotesi peggiore – se il conflitto russo-ucraino non dovesse trovare una soluzione in tempi brevi. Nelle condizioni date, per onestà intellettuale, il nuovo Governo non avrebbe potuto fare di più. L’aumento dei tassi di riferimento delle banche centrali si ripercuote in un aggravamento degli oneri finanziari, che il nostro Paese deve sostenere per finanziarsi sul mercato dei capitali. Gli scostamenti di bilancio avrebbero ulteriormente aggravato la situazione dei conti pubblici.

La manovra finanziaria licenziata dal Consiglio dei ministri, che dovrà superare il vaglio del Parlamento, mi ha in parte deluso. È sicuramente condivisibile l’approccio prudenziale sul necessario contenimento della spesa pubblica, che ha generato il debito pubblico monstre, il quale si è ulteriormente incrementato negli anni della pandemia. Gli effetti della politica di bilancio adottata hanno trovato riscontro nello spread, che si è ridotto nell’ultimo mese di circa 30 punti base. Invece, circa gli interventi sull’enorme magazzino fiscale, ci saremmo aspettati un maggiore coraggio dal bocconiano ministro dell’Economia. I crediti accumulati negli anni dall’erario hanno superato nominalmente i mille miliardi di euro. L’Agenzia delle entrate e l’Ente di riscossione sono consapevoli che molti crediti sono inesigibili, in quanto i debitori o sono falliti o non sono oggettivamente in condizione di onorare l’obbligo fiscale. Tuttavia, una parte dei crediti vantati dall’erario sarebbero esigibili, solo se si mettessero in condizioni le imprese di far fronte ai propri debiti fiscali. La riapertura dei termini sulla cosiddetta rottamazione ter non potrà sortire gli effetti sperati, in quanto la rateizzazione prevista è così stringente che non mette in condizione le aziende di regolarizzare le proprie posizioni. Anche se le imprese volessero saldare il proprio debito con questa nuova “rottamazione quater”, le stesse non avrebbero la liquidità in grado di sostenere le rate.

Un condono tombale che mutuava le precedenti sanatorie sarebbe stato auspicabile e nell’interesse dello stesso erario dello Stato. Farsi condizionare dall’ipocrisia della sinistra, che si opporrebbe a una sanatoria, è controproducente. Avrebbero, comunque, bocciato qualsiasi manovra. Le imprese, che avrebbero sicuramente aderito, si sarebbero liberate dalla spada di Damocle rappresentata da un carico fiscale che, per chi conosce la gestione delle aziende, è aritmeticamente insostenibile.

Per paradosso, in alcuni casi le spese che lo Stato deve sostenere nel tentativo di recuperare il credito, a volte velleitario, superano l’importo stesso recuperabile. L’impiego delle risorse umane utilizzate per recuperare detti crediti deteriorati, potrebbe essere adoperato, in modo migliore, per concentrarsi sugli aspetti facilmente realizzabili. In alternativa, alla sanatoria definitiva si sarebbero dovuti allargare quantomeno i tempi della rateizzazione, portandoli a dieci anni piuttosto che ai cinque previsti. L’ampliamento dei tempi di dilazione delle cartelle esattoriali, a beneficio di tutti i contribuenti, si potrebbe facilmente coprire con la riduzione della pletora dei bonus, i quali “costano tanto alle casse dello Stato, mentre i beneficiari sono pochi privilegiati”.

Aggiornato il 02 dicembre 2022 alle ore 09:26