Pd, Verini: “Il partito non abbia vocazione minoritaria”

venerdì 2 dicembre 2022


Walter Verini rilancia la vocazione maggioritaria del Partito democratico. Il senatore dem in post su Facebook giudica “singolari per la loro approssimazione e superficialità circa il giudizio sul manifesto dei valori del 2007” gli interventi relativi alla prima riunione del Comitato costituente del partito. “Ero in aula al Senato – scrive – per l’informativa sulla tragedia di Ischia e non ho potuto partecipare alla prima riunione del Comitato costituente. Ho letto qualche ricostruzione e qualche sintesi di interventi. Il manifesto del 2007 era ed è quello uno dei punti di elaborazione più alti della sinistra democratica italiana, elaborato da personalità di altissimo livello e spessore delle culture e delle esperienze progressiste, socialiste, laiche e cattolico-democratiche, ambientaliste e femministe”. Per Verini si tratta di “un manifesto di principi e valori che richiede anche profondi aggiornamenti di analisi e di proposte di programma, per i grandi cambiamenti globali che le società hanno conosciuto, ma che rimane valido nelle sue ispirazioni fondamentali. Tra queste, unire e contaminare positivamente giustizia sociale, eguaglianza, pari opportunità, diritti e società aperta, lavoro e impresa, transizione ambientale e digitale”.

Verini rincara la dose. “Ho letto di giudizi liquidatori – prosegue – tipici di una vera e propria vocazione minoritaria. Per quanto mi riguarda, consiglio a tutti un approccio più laico, senza damnatio memoriae e pulsioni rottamatrici. E, naturalmente, senza nostalgie. Anche se confesso di nutrire ancora un po’ di nostalgia per quello spirito che caratterizzò la nascita del Pd, le prime primarie del 14 ottobre, la campagna elettorale 2008, quel 33,4 per cento e quegli oltre dodici milioni di persone che diedero fiducia al nuovo partito”.

Anche secondo Stefano Ceccanti, membro del Comitato costituente del Pd, “non si può azzerare il manifesto del 2007”. In una lettera inviata al segretario Enrico Letta e agli altri componenti dell’organismo, Ceccanti scrive: “Caro Enrico, cari tutti, ho ascoltato ieri con attenzione la nostra riunione, anche se per momentanee ragioni di salute non ero purtroppo in grado di intervenire. Sempre che io abbia capito bene le introduzioni e il primo dibattito, la ritengo per vari motivi una falsa partenza, spero rimediabile, ma per questo occorre estrema franchezza tra di noi ed anche in pubblico”. Sul primo punto, cioè quello del manifesto da riscrivere, sottolinea che nella riforma del 2007 “abbiamo lavorato per consenso quasi unanime e senza toni liquidatori. Ieri invece ho avuto la sensazione, anche da un eccesso di critiche liquidatorie, alcune forse manifestamente infondate, che si sia scambiato il dibattito costituente col confronto anche aspro tra candidati e mozioni che ci impegnerà più avanti. Non certo ora”.

“Da qui – scrive ancora il costituzionalista – una prima domanda di sistema: il mandato è di proporre all’Assemblea nazionale di aggiornare un manifesto da guardare comunque con rispetto o di azzerarlo ritenendolo da cestinare in blocco per sostituirlo con un testo completamente diverso? Dobbiamo aggiornare la Costituzione o cambiare di Costituzione? È evidente che un’Assemblea ad un mese dalla sua scadenza ha la legittimazione per operare la prima scelta, ma non la seconda. Chi sostiene la seconda posizione dovrebbe chiedere un mandato a iscritti ed elettori per la prossima Assemblea, non utilizzare questa per fini impropri e, quindi, illegittimi”. Va bene, insomma, “vincolare chi vincerà, chiunque sia, ad un quadro condiviso di principi e valori, ma appunto condiviso e di aggiornamento, non di parte e di azzeramento. La mia disponibilità resta piena nel primo caso, mentre non vi potrebbe essere nella seconda”, scandisce.

Ceccanti chiede poi quale sia “il grado politico di condivisione prima che numerico da ritenere necessario nel Comitato e in Assemblea per procedere all’aggiornamento, per ritenere il nuovo testo realmente condiviso. C’è poi una terza questione più specifica – prosegue – ma non meno importante: con insistenza, ieri, da parte di più di un intervento, si è chiesto di rimuovere l’elezione del segretario col turno decisivo di primarie aperte come se fosse uno dei punti qualificanti del nostro contributo lavoro costituente, peraltro dopo che tale metodo è stato confermato da tutti anche per questa scadenza congressuale. Ora è possibile includere nel nostro lavoro questo tema importante di organizzazione in un manifesto che deve riscrivere i Principi fondamentali e che appunto per questo non li ha ricompresi nel testo del 2007? A mio avviso decisamente no: è materia propria di uno Statuto, non di un manifesto”.


di Mino Tebaldi