Immigrazione: la svolta rigorista dell’Ue

Potremmo definirla la “rivincita dei sovranisti”, ma sta di fatto che l’approccio dell’Unione europea al tema dei migranti pare stia rapidamente mutando: non più slogan umanitari e buonismo, ma un atteggiamento improntato a una maggiore severità. Il cambio di rotta si evince dalla lettera inviata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ai Capi di Stato e di Governo, in previsione del Consiglio europeo straordinario del 9-10 febbraio.

Il contenuto della missiva rappresenta un deciso cambio di passo – almeno nelle intenzioni, poi bisognerà aspettare i fatti per dare un giudizio – rispetto al sostanziale laissez faire degli ultimi anni, perché imprime un’accelerazione relativamente alla gestione diretta (e a livello comunitario) dei flussi, virando verso il rigore. A testimonianza di questo, l’apertura da parte di von der Leyen all’utilizzo dei fondi comunitari per la costruzione di muri e barriere anti-migranti: possibilità che, fino allo scorso anno, Bruxelles aveva negato, stigmatizzando la misura come atto disumano e contrario ai valori di solidarietà e tolleranza dell’Unione.

Più specificamente, la lettera della numero uno della Commissione contiene un piano articolato in quindici punti. Il primo di questi prevede il “rafforzamento delle frontiere esterne da parte dell’Unione, attraverso misure mirate”. Quali sarebbero queste misure, in concreto? Anzitutto, nella “mobilitazione dei fondi comunitari per aiutare gli Stati membri nel rafforzamento delle infrastrutture per il controllo dei flussi”. Laddove “infrastrutture” è un modo gentile e diplomatico per dire “muri” o qualunque cosa serva a tenere gli immigrati fuori dal territorio europeo. In questo senso, von der Leyen ha già espresso il suo favore alla proposta austriaca di finanziare la costruzione di un’altra barriera tra Bulgaria e Turchia.

In più, la presidente Ue propone anche di potenziare “il supporto per le attrezzature e la formazione” per i Paesi del Nord-Africa, specificamente per Egitto, Tunisia e Libia, che dovranno rafforzare le proprie capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Tradotto dal politichese: è necessario istruire e dotare dei giusti mezzi le guardie costiere e le polizie di frontiera di quei Paesi, affinché chiudano le rotte per conto dell’Unione e semplifichino il lavoro degli Stati di primo approdo, Italia inclusa.

Alle prese di posizione di von der Leyen si aggiungono le dichiarazioni della commissaria europea Ylva Johansson che, pur precisando che il bilancio comunitario non prevede risorse sufficienti per finanziare la costruzione di barriere anti-migranti, ha lasciato intendere che tali fondi potrebbero essere erogati nei confronti di quei Paesi che scegliessero di “ridefinire le loro priorità”. In altre parole, quegli Stati che accetteranno di contribuire alla definizione e all’attuazione di un piano europeo per i migranti, potrebbero dotarsi delle “infrastrutture” per difendere i confini nazionali a spese e con la benedizione di Bruxelles.

C’è poi il capitolo dedicato ai rimpatri e ai ricollocamenti. Nella sua lettera, la presidente von der Leyen ha definito “prioritario” rafforzare la presenza di Frontex nelle aree di confine, affinché si possano esaminare speditamente le richieste d’asilo ai confini europei e stringere accordi con i Paesi d’origine dei migranti, per semplificare e velocizzare i rimpatri dei non aventi diritto. Nondimeno, la leader Ue ha affermato il dovere di tutti gli Stati membri di farsi carico dei veri rifugiati per garantire un’efficace solidarietà ai Paesi di primo approdo. A questo proposito, ha riconosciuto anche la necessità di modificare il Regolamento di Dublino e la possibilità, per i singoli Stati, di stipulare delle intese bilaterali per il controllo delle rispettive frontiere, in attesa di un meccanismo europeo.

Che sia la volta buona? Che le rimostranze italiane (e non solo) abbiano finalmente trovato sponda nelle istituzioni comunitarie? Che sia il risultato della “virata a destra” nel Vecchio Continente e delle politiche di rigore poste in essere anche da alcune socialdemocrazie come la Danimarca e la Finlandia sul tema migranti? Che i popolari europei – di cui la stessa von der Leyen è espressione – stiano tentando l’avvicinamento ai conservatori di Giorgia Meloni, battendo su un tema caro a questi ultimi? In ogni modo, la missiva della presidente fa ben sperare in un’Europa che, per troppo tempo, ha ignorato la questione e che ha finto di non vedere quanto deleteria e distruttiva sia stata la politica “no border” degli ultimi anni.

Aggiornato il 01 febbraio 2023 alle ore 14:00