La politica come scienza del possibile

Il motto: Si vis pacem, para bellum (Se vuoi la pace, preparati alla guerra) è interpretabile in vari significati. Preparati alla guerra, sii talmente forte, che gli altri ti rispetteranno e avrai la pace. È un’interpretazione realistica, accettabile. Il motto può significare l’opposto: preparati a fare la guerra e otterrai la tua pace, la pace a modo tuo, la pace secondo la tua convenienza, è sicuramente una forzatura ma interpretazione consentita, non abnorme. Oppure: renditi preparato anche alla guerra in maniera adeguata, da non essere sconfitto, “para bellum” non fai la guerra piuttosto non incapace a poterla fare, ben preparato, ben munito. Quindi: non preparati a fare la guerra ma essere in condizioni di poterla fare acconciamente. È il significato più verosimile, quasi a dire, pronto alla pace e alla guerra. Nel nostro momento non è che sia facilmente comprensibile che vogliamo. Ho l’impressione che si accetti la visione peggiorativa della frase, fai la guerra e otterrai la pace. La pace è il risultato della guerra. La pace è possibile con la nostra vittoria. E varianti consimili. Spero si colga quel che accade, di immane gravità, non stiamo consentendo alla “pace” alcuna possibilità.

Ci incamminiamo nel XXI secolo a restringere il pregio dell’uomo, la possibilità di scelta. Tutta la filosofia occidentale, eretta sul “possibile”, la scelta, addirittura esaltata drammaticamente e recentemente dagli esistenzialisti, viene prosciugata della univocità: la guerra! Il nostro tempo ha reso la scelta, essenza dell’uomo, un rottame fuori uso, polveroso, arruginito, lercio, anche, e tra le macerie del pensiero. La “mente” odierna si restringe alla guerra, e rende inevitabili quel che considera inevitabile, avendo, dicevo, ristretto sé stessa all’inevitabilità della guerra. Se vedo un solo oggetto, quell’oggetto è l’intera realtà. Se vedo soltanto la guerra sarà guerra! La guerra è una scelta inevitabile, se noi la rendiamo inevitabile, evitando altre scelte. Ma ecco il punto ottenebrato: la guerra non è una soluzione. Chiunque si illudesse che la guerra sia il dipanamento dei problemi egemonici che oggi intaccano il mondo, errerebbe.

In concreto, chi ritiene che per contenere il nazionalismo, nel Pacifico, della Cina, e la capacità cinese di vincere la competizione tecnologica con l’Occidente occorre far la guerra commerciale alla Cina e prepararsi alla guerra armata trascura che ciò dimostra che siamo certi di non vincere mantenendo la pace, e ricorriamo alla guerra appunto in quanto certi di essere sconfitti. Questo rivelerebbe che i nostri sistemi sono incapaci di concorrere pacificamente! Dopo tanta esaltazione dell’attrattiva dei nostri sistemi paleseremmo che solo la guerra ci salverebbe. Continuando la pace i nostri sistemi economici soccomberebbero. Fosse tale la realtà noi difenderemmo sistemi vecchi, sorpassati. E quali sarebbero i sistemi vecchi, sorpassati. Evidentissimo: la pretesa occidentale di dominare il mondo. Non ce ne accorgiamo, ma operiamo come se fossimo in un pianeta dove qualcuno, ossia Uno, riteneva di costituire l’imperatore del mondo.

No! L’imperatore del mondo è il passato, un passato che non tornerà e che se volesse costringere il pianeta a restaurare l’impero mondiale lo farebbe a costo di una guerra mondiale. Ecco il punto nel quale la Storia ha incagliato la pretesa dell’impero mondiale. Se vuoi l’impero mondiale metti a rischio la guerra mondiale. Se metti a rischio la guerra mondiale sarai imperatore del regno mondiale dei morti. Indubbiamente un impero. Preferibile vivere senza impero se l’impero ha tale meta. Al dunque: siamo entrati nell’era della disobbedienza al padre. L’illusione hegeliana degli Stati Uniti, di essere la conclusione dominante della storia, Hegel lo dichiarava per la Prussia, è smorta in pochi anni.

La storia torna all’innocenza del divenire, o al divenire netto. E nel divenire vi è questa novità apocalittica: Cina e Russia sono disposte persino alla guerra mondiale per non subire impellenze dominatrici statunitensi, come del resto gli Stati Uniti sono disposti a tutto per non subire dominazioni o contrasti meditativi. La guerra nucleare che garantì la pace data la sua immanità rovinatrice non è più un argine, all’opposto, è il vanto della difesa-offesa. Siamo entristi nell’era nella quale il conflitto nucleare è detabuizzato. E poiché le guerre commerciali non sembra ottengano scopi devastanti e finali, le vie dei commerci sono illimitabili e incontrollabili, ed eliminare Russia e Cina dal mercato universale è una fiaba per la Ninna nanna. Resterebbe il rimedio archetipo, la guerra. La quale non soltanto risolverebbe i problemi ma ucciderebbe anche i contendenti. Se qualcuno ha sufficiente fantasia e non vive soltanto di parole, realizzi che è, che sarebbe, la guerra nucleare, l’inverno secolare irrespirabile, contaminato, malefico. Che ne verrebbe?

Cercherebbe il respiro dell’aria salutare più di un naufrago che ingozza acqua salata. Le guerre commerciali non riuscite provocano guerre militari come tentativo di riuscire dove le guerre commerciali non sono riuscite. Qualcuno che ha responsabilità pubblica consideri questo argomento: presso che tutte le guerre derivano da conflitti economici che non raggiungono gli scopi, sicché si ricorre alla guerra. In ogni caso: che faremmo se non riuscissimo a prevalere su Cina e Russia con mezzi non bellici? Ricorreremmo alla guerra, anche nucleare? Stiamo tentando di prevalere con una guerra commerciale e in parte anche militare. Non sembra che ci vengano risultati convincenti. Ci inoltreremo nella guerra anche nucleare? Non c’è alternativa, se non riusciamo con mezzi commerciali e in minima dose militari non abbiamo che la guerra assoluta. E poiché c’è da dubitare che riusciremo a prevaricare con mezzi commerciali e guerra circoscritta non ci soccorre che la guerra ultima. Nessuno tra Russia, Cina e gli Stati Uniti, è disposto a cedere. Tertium non datur?

Non vi è un’uscita diversa da questa alternativa mortuaria? Chiaramente: se non riusciamo a vincere con le sanzioni e con la guerra in Ucraina dobbiamo dare posto alla guerra generale nucleare? Se continuiamo come al presente la via è obbligata, ci inoltriamo nella guerra quale prosecuzione della (non) politica. Perché, stupefacente: esiste anche la politica. È una guerra non militare, una prosecuzione del fallimento della guerra. Non è stato mai detto? La politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi! Nel nostro caso la prospettiva è rappresentabile in questa formulazione: non riuscendo a piegare economicamente Russia e Cina si ricorre alla guerra, con la Russia accade, con la Cina, allorché ne verrebbe stroncata la capacità concorrenziale nelle tecnologie avanzatissime (microchip). L’avere ottenuto da Giappone, Olanda, Corea del Sud, Taiwan di non concedere alla Cina ritrovati tecnologici avanzatissimi è un tentativo di arretrarla, e, addirittura, in caso di conflitto, spadroneggiarla.

Se gli Stati Uniti riescono in un risultato fiaccativo di Russia e Cina senza guerra nucleare o con una guerra nucleare che la loro superiorità renderebbe trionfante, spietato che sia il fine, sarebbe un portento di compimento nella lotta per il dominio. Se però, pur fiaccaste, Russia e Cina replicassero in modo da devastare chi le devasta, ferire chi le uccide, allora le presenti e future generazioni (chi sopravviverebbe), considererebbero follia di onnipotenza perniciosa la volontà di risolvere con la guerra le tensioni egemoniche. Se qualcuno ritiene che possiamo vincere, dico: l’Occidente, senza guerra nucleare, lo dimostri. Se qualcuno ritiene che indeboliremo Russia e Cina al grado che vinceremo l’eventuale guerra senza danni micidiali, lo dimostri.

Al dunque: anche la ricerca di un contenimento afflittivo di Russia e Cina non ci tutela dal ricevere danni sterminati. Vinceremmo sulle nostre rovine accatastate sulle altrui rovine. Non è tempo di vittorie unilaterali. Se non è così, e l’Occidente prevarrebbe senza costi irrimandabili, sia, un monumento alla determinazione occidentale. Se non fosse, un monumento sepolcrale all’umanità. E la celebrazione vale per chiunque mirasse a dominare esclusivamente. È l’esclusivismo che rende impossibile convivere. Ma se ragioniamo secondo la categoria del possibile e teniamo in conto l’altro in una visione comprendente, potremmo, appunto, convivere. Insomma, conviviamo se abbiamo quale scopo convivere. Se non abbiamo quale scopo convivere ogni fiato altrui ci sembra un uragano. Si tratta di misurare. La guerra come fase ultima, quando è insopportabile tollerare e sopportare. Allora, combattere all’ultimo fiato. Ciascuno, individuo e popoli, valuti se combattere è adeguato, morire è adeguato allo scopo per cui si offre la vita. Non rendere la guerra una risposta assoluta, da pifferaio. Adeguarla ai fini.

Disturba, turba oggi la facilità con la quale si vocifera di guerreggiare, forse perché vociferiamo. Se combattessimo diverremmo responsabili, presumo e auspico. Ma sarebbe tardi. Di ciò sono convinto: chiunque pretende dominio mondiale, controllo, egemonia planetaria trarrà il mondo all’annientamento. Chiunque crede di espellere dai mercati produttori o possessori di elementi necessari al mondo causerà guerra mortale. Chiunque suppone di fare delle armi il nuovo veicolo per soccorrere l’economia dovrà infine usare le armi, e sarà la guerra. Errori e orrore. Significato: anche la guerra, come tutto, va commisurata tra mezzi e fini, costi e resa. No, non è un bene indiscutibile. Anche se il diavolo è di convinzione difforme. E ha molti, troppi seguaci.

Aggiornato il 22 marzo 2023 alle ore 14:43