Tanto per essere chiari

La premier Giorgia Meloni si è recata in Senato per l’informativa in vista del prossimo Consiglio europeo del 23 e 24 marzo. Immigrazione, energia e sostegno alla resistenza ucraina saranno i temi principali che verranno trattati durante il summit e proprio su questi argomenti la premier ha ritenuto opportuno concentrarsi durante il suo intervento a Palazzo Madama.

In questa fase così complessa – ha detto Meloni – l’Europa è chiamata ad affrontare sfide decisive per il suo futuro, come garantire la sicurezza dei suoi cittadini, assicurare la tenuta del proprio sistema economico e predisporre ai cambiamenti radicali che potrebbero verificarsi nel prossimo futuro e ridefinire gli assetti globali. In questo frangente, la presidente del Consiglio si è detto sicura del fatto che l’Italia abbia tutte le carte in regola per esercitare un ruolo da protagonista e non da comprimario.

Il primo e più importante banco di prova – ha spiegato Meloni – sarà proprio la questione dell’immigrazione, sulla quale il Governo italiano ha chiesto e ottenuto da Bruxelles maggior attenzione che in passato. Si tratta infatti di un’emergenza che sta diventando strutturale e alla quale bisogna dare le necessarie risposte. Non siamo più disposti – prosegue la premier – ad aspettare il prossimo probabile naufragio; al tempo stesso non si può pensare che l’Italia possa, da sola, farsi carico della gestione di un fenomeno di tale rilevanza. Le frontiere dell’Italia sono quelle dell’Europa – ricorda perentoria Meloni. Di conseguenza, la soluzione da trovare in sede europea deve concentrarsi su un approccio volto a presidiare e a proteggere queste frontiere, garantendo il rispetto della legalità, oltre che la sostenibilità del fenomeno nel lungo periodo: come a dire che è inutile andare a Bruxelles a chiedere agli altri Stati membri di prendere in carico qualche centinaio di migranti, una strategia rivelatasi fallimentare e che per qualche strana ragione qualcuno insiste a voler riproporre. Molto meglio concentrarsi sulla difesa dei confini e sulla “selezione all’ingresso”. Anche perché – come specificato da Meloni – l’immigrazione di massa premia l’illegalità e avvantaggia scafisti e mafiosi, ma danneggia chi ha veramente diritto alla protezione internazionale e chi predilige canali legali, che in questo modo non trova spazio perché le quote sono coperte da chi arriva illegalmente.

Checché ne dicano Elly Schlein, Nicola Fratoianni o Giuseppe Conte, la soluzione non è far entrare tutti, nella speranza che tutto vada per il meglio, perché salvare le vite in mare è un dovere umanitario. Non esiste – come ha ricordato la premier – il diritto di migrare. Al contrario, esiste il diritto di scegliere chi far entrare in casa propria e chi no; ed esiste il dovere – in capo a una comunità di Stati come l’Europa – di impegnarsi e di fare il possibile per rendere effettivo questo diritto. O lo si fa in comune, unendo le forze; o si lascia che ciascuno faccia da sé. Ma se si sceglie quest’ultima strada, allora si deve lasciare che ogni Stato adotti le misure che ritiene più opportune – si tratti di barriere, di respingimenti o di deportazioni in stile “british” o danese – evitando critiche, piagnistei vari e procedimenti d’infrazione. Del resto, la responsabilità delle morti in mare è sì degli scafisti e delle Ong che sono un fattore d’attrazione, ma anche di chi si ostina a creare false speranze.

Un altro punto sul quale la premier ha insistito particolarmente è quello degli aiuti militari a Kiev. Le armi che inviamo all’Ucraina – ha detto Meloni – sono già presenti negli arsenali della difesa italiana e non vengono comprate o fabbricate appositamente: ergo, mente spudoratamente chi dice che se non mandassimo armi potremmo abbassare le tasse, investire in sanità o aumentare le pensioni; “propaganda puerile”, come l’ha definita la presidente. È necessario che l’Italia rimanga ferma nel suo proposito di sostenere una nazione ingiustamente aggredita e in lotta per la difesa della propria esistenza: anzitutto, perché lo sforzo bellico ucraino serve a evitare che la guerra arrivi nel resto d’Europa e, quindi, anche nel nostro Paese; in secondo luogo, perché impedire la vittoria della Russia – che ha agito nello sprezzo del diritto internazionale – è il modo migliore per giungere a una pace giusta e per assicurare che in futuro a definire i rapporti tra gli Stati continuino a essere le regole e le convenzioni, non i rapporti di forza.

Purtroppo per noi – e per la qualità del dibattito pubblico – i pacifisti sembrano non aver compreso che il conflitto è destinato a dilagare proprio in caso di sconfitta dell’Ucraina, perché a quel punto non solo Mosca non si farebbe più scrupoli anche nell’insidiare il territorio della Nato – che darebbe un terribile segnale di debolezza smettendo di sostenere militarmente Kiev e iniziando a parlare di “pace e amore” e di “fiori al posto dei cannoni” – ma si accenderebbero molti altri focolai in giro per il mondo, perché qualunque Stato autocratico si sentirebbe legittimato a usare la forza contro i suoi vicini di casa e contro le democrazie imbelli e deboli. Per non parlare poi della fine che farebbe l’Occidente che, nel bene o nel male, con le sue regole da taluni giudicate “imperialiste”, è riuscito a garantire all’umanità il più lungo periodo di pace che la storia ricordi.

Si è trattato di un intervento lucido e maturo da parte di una premier che ha compreso come si sta al potere e le responsabilità che il potere implica. Tra queste, anche quelle di difendere l’interesse nazionale pur restando con i piedi per terra, senza barattare il buon Governo con la demagogia.

Aggiornato il 23 marzo 2023 alle ore 09:56