Pd: da partito a movimento?

giovedì 30 marzo 2023


Come si possa passare dalla segreteria molle e senza ardore di Enrico Letta a quella dura e concitata di Elly Schlein è uno dei misteri che caratterizzano l’eterna deriva di un Partito democratico senza più alcuna precisa rotta da seguire. A essere ottimisti si potrebbe sostenere che, in fondo, il mutamento all’interno di questo partito rappresenta una concreta esemplificazione di ciò che Vilfredo Pareto chiamava la “circolazione delle élites”, ossia il ricambio dirigenziale che si rende necessario quando il gruppo di potere esaurisce il suo ruolo e deve essere sostituito da un gruppo nuovo, pena la paralisi e la crisi definitiva. Tuttavia, nel caso in questione, mentre la stanchezza precedente era sotto gli occhi di tutti, la vivacità attuale assomiglia più a una rivoluzione interna che non al ripristino di un cammino verso una meta condivisa.

Scorrendo il curriculum di Schlein è in effetti facile rendersi conto del suo carattere movimentista più che politico nel senso classico del termine, come del resto si evince dalle poche proposte che sta esprimendo tutte convergenti su temi quali l’ambientalismo o la difesa delle persone Lgbt o le più banali pretese in fatto di salari o di tutela dell’immigrazione. Proposte che palesemente mancano dell’ampio respiro che un partito delle dimensioni del Pd dovrebbe avere e da collocare, semmai, all’interno di quella che può essere definita una “visione” complessiva della società italiana. Schlein è giovane, irruente e disinvolta ma, a conti fatti, la sua esperienza politica, a parte un ruolo elettivo in alcune istituzioni, si limita a una serie di partecipazioni a gruppi fondati e poi lasciati, occupazioni e manifestazioni di protesta, correnti del Pd cui aderisce per poi uscire e rientrare nel Pd stesso. Insomma, una figura che potremmo definire come “diversamente lineare” ma, soprattutto, priva di qualsiasi cultura socio-politica strutturata e chiara bensì solo genericamente “di sinistra” nel mero senso di “più a sinistra” di chi l’ha preceduta.

Questa immagine, che richiama quella di un leader sessantottino, la pone del resto in perfetta coerenza con le posizioni di chi, come Pier Luigi Bersani e compagnia, dopo l’inevitabile abbandono delle idee comuniste non vede l’ora di riproporle sotto una versione tatticamente rinnovata. D’altra parte, senza poter far leva su alcuna dottrina ideologicamente forte, l’esito per il Pd è un pateracchio senz’anima e senza futuro, un “manifesto” di pure perorazioni populiste e sommarie contestazioni senza alcuna reale prospettiva. Un “movimento”, appunto. A prima vista può risultare stupefacente che un partito nel quale sono presenti numerosi uomini e donne dalla lunga esperienza e dalla consolidata notorietà debba affidarsi a una giovane la quale, della politica, sembra conoscere solo la superficie e solo in termini di generica contrapposizione alla destra, ma tant’è. Due sole sono le ipotesi: o Schlein è stata semplicisticamente percepita come la carta giusta da giocare contro l’altra donna, cioè la premier Giorgia Meloni, oppure la maggioranza del Pd è ansiosa di riproporre l’idea socialista, e di riprendersi i voti dei 5 stelle, ma senza fare i conti con le reali capacità dei leader disponibili. Per cui, ancora una volta, dobbiamo attendere che la sinistra italiana renda noto cosa vorrebbe fare da grande.


di Massimo Negrotti