Vaccini e dintorni

Un aforisma, un commento - “Spesso le conoscenze scientifiche sono controintuitive. In questi casi, il senso comune si ritira come un riccio e, alla ricerca ansiosa di risposte semplici, diviene preda dei ciarlatani”.

Se si guarda alla storia della scienza si può facilmente constatare che essa ha prodotto, e produce, due tipi di risultati: ipotesi e conoscenze consolidate. Le prime sono una sorta di scommessa che gli scienziati formulano sullo stato delle cose in un certo settore di fenomeni naturali o sociali mentre le seconde, pur conservando sempre la natura di ipotesi o teorie, sono formulazioni che, sul piano sperimentale, hanno resistito a tutti o a gran parte dei tentativi di smentita.

È inutile ricordare che ogni scienza sufficientemente matura possiede un più o meno nutrito corredo di conoscenze consolidate, in fisica, in chimica, nelle numerose specializzazioni della medicina e così via. Proprio in medicina, fra i molti, tre uomini geniali hanno contribuito a debellare malattie molto pericolose e andrebbero ringraziati da ogni generazione: Edward Jenner, Ignazio Semmelweis e Louis Pasteur. A Semmelweis dobbiamo la scoperta della trasmissione batterica attraverso il contatto fisico. L’esistenza dei microbi era abbastanza nota grazie agli studi di Leeuwenhoek e Spallanzani, ma ritenere che essi potessero contagiare l’essere umano per una semplice negligenza igienica sembrò inaccettabile dalla stessa categoria medica che, per quasi mezzo secolo, fece di tutto per screditare il povero Semmelweis il quale finì i suoi giorni in manicomio.

Jenner, da parte sua, aveva intuito, e dunque ipotizzato, che l’introduzione nell’organismo umano di quello che oggi chiamiamo un virus (attenuato), avrebbe stimolato il sistema immunitario a produrre anticorpi capaci di riconoscere e poi eliminare i virus che eventualmente si fossero presentati. Jenner aveva elaborato la sua ipotesi, poi confermata, avendo osservato il decorso del vaiolo di origine bovina nei contadini a stretto contatto con le mucche ed é per questo che la pratica prese il nome di “vaccinazione”. Anche contro Jenner si levò immediatamente la protesta di buona parte dell’opinione pubblica, medica compresa, del suo tempo.

Molti sostenevano che era “innaturale” iniettare nel corpo umano materiale animale infetto ed altri che non era corretto opporsi alla “naturale” sorte che la Provvidenza riservava agli uomini. Pasteur perfezionò poi la pratica vaccinale riuscendo a debellare la rabbia e così, in seguito, la scienza medica ha messo a punto vaccini in grado di sconfiggere numerose le patologie da infezione che tutti conosciamo.

Oggi nessun patologo, virologo o farmacologo può ragionevolmente dubitare dell’efficacia della vaccinazione, la quale, peraltro, si difende bene da se stessa poiché, come è noto a tutti, o quasi, la pratica vaccinale, dove è sufficientemente diffusa, ha praticamente eliminato numerose malattie di gravissima entità. Tuttavia, nonostante alla base della vaccinazione sussista sicuramente un insieme di conoscenze scientifiche ormai largamente consolidate, non poche persone perseverano nel dubbio e nello scetticismo in particolare quando si tratta di decidere se vaccinare oppure no i propri figli. Proprio per questo in vari Paesi la vaccinazione non è obbligatoria, in altri lo è solo per alcune patologie e in altri ancora è solo suggerita nonostante la raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di perseguire almeno il 95 per cento di copertura della popolazione.

Le obiezioni sono di due tipi: la certezza non assoluta circa la mancanza di effetti collaterali e la libertà di decisione individuale. La prima, propagandata a vari livelli persino da uomini politici, nasce da una profonda incomprensione dell’impossibilità, per la scienza in generale ma ancor di più per le scienze biologiche, di generare conoscenze assolutamente certe. Come ho scritto all’inizio, tutto ciò che possiamo garantire è che una conoscenza scientifica sia largamente consolidata e quella circa la vaccinazione lo è ampiamente. D’altra parte, la varietà biologica, in tutti gli esseri viventi, è talmente elevata che c’è da stupirsi, e da essere grati alla scienza, se, per esempio, la poliomielite in Italia è scomparsa “quasi assolutamente” essendo noti solo un paio di casi “importati” dall’Oriente e pochissimi altri correlati all’oscillazione iniziale fra formule vaccinali diverse fra loro. La stessa constatazione vale per ogni altra patologia e la conclusione è una sola: se da un lato non è possibile comprimere a zero la probabilità di effetti collaterali, dall’altro l’efficacia della vaccinazione è prossima al cento per cento. Chi si oppone alla vaccinazione dei propri figli, insomma, dimostra di non saper accettare il rischio, bassissimo, a fronte dell’efficacia che, invece, è elevatissima, imponendo così ai propri figli una vulnerabilità altrettanto elevata. Aspettare, o pretendere, la certezza assoluta significa vivere in un mondo inesistente e impossibile. Peraltro, è singolare che persone abituate a viaggiare in automobile, in treno o in aereo, dove le probabilità di incidente sono più o meno marginali ma comunque molto superiori a quelle di un effetto collaterale grave a causa della vaccinazione, si ostinino a credere che questa pratica medica sia da sconsigliarsi. C’è poi il paradosso – che il nostro ministero della Salute ha fatto bene a sottolineare in una sua recente relazione pubblica – costituito dal fatto che, essendo stata debellata dalle vaccinazioni obbligatorie del passato, una certa patologia non sia più percepita come incombente bensì come “scomparsa”, rendendo così inutile procedere alla vaccinazione. Si tratta di una ben povera posizione poiché i virus delle varie malattie in questione non necessariamente sono scomparsi e possono invece ripresentarsi nuovamente aggredendo facilmente organismi non vaccinati. Sarebbe come abolire il proprio esercito dopo la fine di una guerra: un ideale da anime belle ma del tutto irrealistico e certamente inopportuno.

Per quanto riguarda l’obiezione che fa riferimento alla libertà individuale la discussione esigerebbe troppo spazio. Mi limiterò ad osservare che anche per un liberale, attento e geloso delle libertà dell’individuo, vi sono alcuni argomenti sui quali lo Stato deve senza alcun dubbio esercitare il proprio potere stabilendo norme vincolanti. O forse non è così per l’alfabetizzazione dei cittadini o per i vari codici di comportamento nella quotidianità, dai doveri legati al rispetto dell’ambiente naturale e sociale a quelli connessi alla guida di un’automobile? Chi mai avrebbe il coraggio di rivendicare il diritto di decidere autonomamente se mettere il casco viaggiando in moto, oppure no? Eppure, a differenza di una patologia contagiosa, un trauma derivante dall’assenza del casco produce danno solo a chi non lo indossa.

Aggiornato il 20 giugno 2017 alle ore 10:54