La normalità del nostro tempo: siccità, incendi e nubifragi

Il 2017 registra in Italia, da nord a sud, il triste primato di incendi con enormi danni al patrimonio ambientale. Le temperature altissime riportate accompagnano questo scenario infernale di dantesca memoria. Il caldo e l’assenza di pioggia significano siccità che produce il secco, vero combustibile che eleva il rischio di incendi, innescando una spirale distruttiva dalle proporzioni imprevedibili i cui effetti sono resi esponenziali anche dalla follia criminale di chi appicca scientemente fuoco ai nostri boschi.

Il disegno criminale non è di pronta lettura ma fare “esercizio di geometria”, con l’analisi satellitare delle aree devastate dagli incendi, potrà aiutare a comprendere le cause e rinvenire i reali responsabili. Spesso, infatti, dietro agli incendi c’è la mano delittuosa e violenta di chi si oppone alle azioni di contrasto all’abusivismo edilizio di cementificatori selvaggi e senza scrupoli anche di aree protette, ovvero, dà fuoco ad aree boschive per farle diventare terreno edificabile! La portata e diffusione su scala regionale e nazionale di certi disastri si spiega solo all’interno di un’azione pianificata e con obiettivi precisi che fa dell’“emergenza” un nuovo business.

Sta di fatto che milioni di ettari di bosco vanno distrutti senza possibilità di intervenire in anticipo perché accade di frequente che gli incendi esplodono in aree impenetrabili ai necessari interventi di manutenzione e difesa, evidenziando anche un problema di organizzazione e di coordinamento degli interventi a terra e di quelli aerei, con rimpalli di responsabilità e l’utilizzo, fino allo stremo delle forze, delle risorse disponibili per domare le fiamme. Ma occorre una grande competenza ed esperienza per intervenire dentro i boschi e domare gli incendi, prevedendone e prevenendone la direzione con il ricorso – se occorre – anche ad interventi tecnici di controfuoco. Oggi il sistema, che risente dei continui riordini delle competenze in materia, purtroppo, non vive un tempo semplice, anche per la mancanza di un’unica istituzione responsabile di tutta la filiera con evidenti riverberi in termini di pianificazione delle azioni di Aib (Anti incendio boschivo).

Cambia anche lo scenario sui motivi per cui si appiccano incendi: siamo ben oltre le antiche tecniche che spingevano a dar fuoco per rigenerare e rendere i campi più fertili o comunque per creare un nuovo pascolo, espressione di criminalità rurale. Oggi si censiscono fattispecie delittuose che vanno dall’incendio doloso al disastro ambientale e a quella, meno nota ma ugualmente prevista dal codice di procedura penale, di distruzione di habitat protetto.

Molti danni al patrimonio ambientale, invero, sono proprio dovuti alla perdita di biodiversità. La conservazione della biodiversità viene spesso erroneamente sottostimata considerandola questione che afferisce unicamente alla protezione delle specie in pericolo di estinzione e con ciò trascurando, invece, il ruolo fondamentale che la natura può esercitare nella lotta ai cambiamenti climatici. Ecosistemi sani e resilienti, infatti, possono contribuire ad attenuare gli effetti dei cambiamenti climatici contenendo il riscaldamento globale, assorbendo l’anidride carbonica che ne è responsabile, e sono in grado di resistere e riprendersi da eventi meteorologici estremi: offrono cioè una quantità enorme di benefici. Di là dalle ferite ambientali e paesaggistiche, tra i calcoli dei danni prodotti è necessario stimare, oltre i costi delle opere di spegnimento e di rinverdimento dell’area, anche lo smaltimento dei residui legnosi bruciati ed il valore del materiale legnoso perduto nell’incendio, con relativo indotto, costi diretti e indiretti a carico della collettività!

All’emergenza “caldo” si sovrappone, con repentina variazione, l’allarme per i violenti nubifragi che aumentano i danni all’agricoltura già stremata dalla siccità e dagli incendi di un’estate segnata dal rincorrersi di eventi estremi.

Ebbene, c’è un filo che ricongiunge e collega tutto questo ai rischi associati ai cambiamenti del clima che stiamo sperimentando con sempre maggiore frequenza, generando gli “stati di emergenza” nel nostro Paese sopra detti: emergenza siccità, emergenza alluvioni, emergenza incendi, emergenza salute per le ondate di calore. Il riscaldamento climatico provoca nel contempo un aumento nella frequenza e nella durata delle siccità ed un aumento della frequenza e dell’intensità dei nubifragi. Siccità, incendi, nubifragi, quindi alluvioni e frane, sono destinati a divenire la normalità del nostro tempo!

I fatti di recente accadimento, invero, acclarano un mondo che sta cambiando per clima e paesaggio, con il concreto rischio – per chi non comprenderà questo dettame, fosse anche il più erudito – di ritrovarsi perfettamente formati per un mondo che non esiste più e quello ancora più triste di rendersi strumento inconsapevole di menti criminali che fanno dell’emergenza business.

Agire in prevenzione significa prevedere e prevenire anche questo. E così, se gli indicatori di siccità rilevano, come sembrerebbe, dati stabili, con evidente accelerazione della riduzione della disponibilità di acqua non solo per gli usi irrigui e di allevamento, ma anche per gli impieghi domestici, è necessario repentinamente ripensare anche agli stili di vita. Se è vero, come è vero, che gli incendi che hanno devastato e (ahimè!) continuano a devastare l’Italia sono anche la conseguenza dell’incuria dell’uomo e dello spreco che tutti noi compiamo quotidianamente, bisogna pensare ad un uso più razionale degli ottomila bacini che abbiamo, riducendo drasticamente gli sprechi dell’acqua potabile a cominciare da quella utilizzata per le colture, per impiegare nei campi, ad esempio, l’acqua di sorgente, il che ci consentirebbe di recuperare molte delle risorse idriche disponibili e limitare di molto le possibili situazioni di criticità. Oggi è necessario organizzarsi per raccogliere l’acqua nei periodi più piovosi attraverso interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali, potenziando la rete di invasi sui territori e creando bacini aziendali. È necessario ripensare alle attività svolte dai Consorzi di Bonifica, con una attenta opera di riorganizzazione perché, se usati bene, essi possono divenire uno strumento veramente importante di gestione dell’acqua.

Se non è possibile evitare estati torride e visto che gli incendi sono quasi tutti dolosi, si dovrebbe dedicare più attenzione ai piani di prevenzione che riducano il bosco e puliscano il sottobosco limitando la massa che brucia e, per evitare ogni strumentalizzazione postuma all’evento dannoso, avere chiarezza sulla disciplina vincolistica delle terre percorse dal fuoco di cui alla Legge quadro in materia di incendi boschivi: occorrono adeguate politiche locali che impediscano, in applicazione della legge suddetta, che nelle aree danneggiate si costruisca ovvero si eseguano attività di rimboschimento o di ingegneria ambientale con risorse finanziarie pubbliche o private, rendendo con ciò la fisionomia del divieto proibizione assoluta e non relativa e predisponendo, nel contempo, interventi immediati nelle aree colpite per contenere i rischi idrogeologici che la deforestazione determina.

È necessario perciò pensare ad una legge organica per la difesa del suolo che punti sì alla riduzione a zero del consumo entro il 2030, ma non solo, che superi la frammentazione delle competenze e definisca un soggetto operativo per le attività di manutenzione ed investimento, con un budget stabile per operare soluzioni strutturali e concrete il cui costo è compensato dalla riduzione del danno della calamità e dall’abbattimento (o quantomeno contenimento) dei costi determinati dall’emergenza.

La riforma della difesa del suolo come simbolo di un nuovo modello di sviluppo ottenuto stimolando il senso di partecipazione attiva, coniugando saperi tecnici con scelte politiche che motivino l’azione in ambito legislativo parlamentare, ma anche con scelte culturali ed abitudini di vita che riguardano ognuno di noi, con un impegno in prima persona. L’obiettivo comune deve essere quello di contribuire tutti a dare al nostro Paese un sistema moderno e funzionante di difesa del suolo a partire dalla proposizione di un modello di sviluppo con strumenti di intervento necessari per attuarlo in chiave di proposta sostenibile (in senso etimologico ed ambientale) e praticabile, lavorando di concerto con la natura, mediante approcci basati sugli ecosistemi per l’adattamento ai cambiamenti climatici e per la loro attenuazione, proponendo soluzioni da adottare in tempo rapido in un mondo che cambia clima e paesaggio per concorrere concretamente alla tutela dell’ambiente.

(*) Avvocato ed esperto ambientale, responsabile Osservatorio Ambiente della Lidu

Aggiornato il 04 settembre 2017 alle ore 20:19