Basta con gli stupri

Ormai sono diventati come i bollettini di guerra. Si susseguono a ritmo incessante e non passa giorno, infatti, che non venga riportato dai giornali che uno stupro, singolo o di gruppo, è stato tentato o addirittura realizzato a danno delle donne. Rimini, Firenze, Torino, Roma e Catania sono alcune delle città che sono diventate protagoniste, loro malgrado, della nefandezza sessuale. Pensare, però, che prima il mondo non conoscesse questa realtà sarebbe veramente ipocrita. Fare come gli struzzi, nascondendo la testa sotto la sabbia, non servirebbe a nulla. Gli stupri sono sempre esistiti, e anche lo stupro di gruppo c’è sempre stato. La leggenda, addirittura, ci racconta del “Ratto delle Sabine” che può essere annoverato tra gli stupri di massa. Nascondere, però, che le violenze sessuali abbiano raggiunto, oggi, una forte impennata, per la presenza nel Paese di migliaia di migranti che hanno raggiunto l’Italia, quasi sempre senza le loro donne, è l’ennesima mascalzonata dei politicanti della sinistra. Ma comunque, italiani o migranti che siano, quando scelgono di soddisfare le proprie voglie con lo stupro rimangono persone abiette e veri animali senza alcuna dignità. La violenza sessuale non ha colore.

La sinistra e il governo invece di pensare, spalleggiati da Papa Bergoglio, allo Ius soli, magari facendo credere che con quella legge si otterrebbe una riduzione delle violenze sessuali, farebbero meglio a spingere forze di polizia e magistratura ad impegnarsi per realizzare arresti immediati e condanne veloci ed esemplari senza trattare i maiali che circolano nel nostro Paese con i guanti gialli se si tratta di “poveri migranti”, e con vero disprezzo se gli autori delle violenze sono “volgari italiani disadattati”. Sono ambedue esseri immondi.

E questa diversità di trattamento la si scorge nel silenzio assordante delle vestali del politicamente corretto nel primo caso e nel vociare da comari, nel richiedere leggi speciali e più severe, se si tratta di individui che sono rifiuti della società italiana. Le leggi ci sono, vanno però applicate riducendo semmai, per un reato così disgustoso, le riduzioni di pena (buona condotta, ecc.) che dimezzano spesso la condanna ricevuta. Tra l’altro il pugno duro può far emergere quella gran quantità di donne che subiscono le violenze ma non hanno il coraggio di denunciarle. Forse vietare di rendere pubblici i loro nomi, mantenendo una reale privacy, aiuterebbe a rompere quella voglia di nascondere l’accaduto per la vergogna che le sommerge.

Quando, comunque, tra alcuni mesi il problema scomparirà dalle prime pagine dei giornali (da esse si è passati in un mese alla quinta pagina, poi all’undicesima e oggi era già alla diciassettesima che riportava la violenza subita da una operatrice di un Centro di accoglienza nel bergamasco) ma non perché il fenomeno si sarà estinto ma perché tutto rientrerà nella normalità delle scelte di comunicazione mediatica, incluso il chiacchiericcio delle comari che come d’incanto cesserà. E invece, con decreto, va introdotto l’annullamento delle riduzioni delle pene, ma “al primo posto dell’agenda del nuovo Governo dovrà esserci – come scrivono Elide Rossi e Alfredo Mosca su “L’Opinione” – la riforma della giustizia civile e penale. In mancanza, l’orizzonte non potrà che diventare più cupo, meno democratico e sempre più rischioso.

Aggiornato il 22 settembre 2017 alle ore 12:22