C’era una volta il testimone

martedì 21 novembre 2017


Non è inutile ripeterlo, visto che c’è tanta gente che non pare lo abbia sentito (e non c’è peggior sordo di quello che non vuol sentire). I principi, le figure dei soggetti, le regole generali del diritto e, specialmente di quello penale e processuale penale, vanno in pezzi, triturati da un modo di affrontare i problemi che fa di ogni questione un mondo a sé e, per lo più una questione del momento, da risolvere avendo presente l’utilità per “la lotta in corso”. La coerenza, chiave dell’armonia di ogni ordinamento e di ogni sistema giuridico, è sempre più evanescente.

Figure un tempo ben definite, la cui funzione era (ed è, cioè, sarebbe) essenziale per il diritto e la giustizia, vanno in pezzi e ciò con la pretesa di “migliorare” ciascuno per suo conto e per le sue specifiche questioni, quei frammenti che vanno così a far parte di un ammasso di rottami di un grottesco anarchismo della giustizia. C’era una volta il testimone. Figura unica, con un’unica definizione e funzione. Chiunque fosse chiamato a versare la sua conoscenza particolare dei fatti oggetto di un giudizio era (e dovrebbe essere) il testimone. Indicato e chiamato dall’accusa o dalla difesa, la figura, la funzione, il dovere del testimone non cambia. Al giudice, il compito di valutare quanto dal teste versato nel processo, anche attraverso una valutazione della attendibilità del soggetto. Testi, però tutti uguali “in partenza”, nella loro funzione e nel dovere di attenzione e di mancanza di pregiudizio per ciascuno di essi.

Basta un attimo di riflessione. Oramai questa unicità della figura del teste non c’è più. L’altro giorno, dopo che la Camera aveva votato una legge su un teste “speciale”, figura tratta dalla qualifica attribuita dalla stampa a certi testi “chiave” di vicende assurte al clamore mediatico in altri Paesi, il “Whistleblowing”, leggevo di una dichiarazione del ministrino della Giustizia Orlando sulla necessità di una nuova legislazione sui “testimoni di giustizia”. Basterebbe questo strafalcione per rendersi conto che il sistema si è sfasciato. Che significa testimoni “di giustizia”? Che altri che non godono di tale qualifica, sono testimoni di ingiustizia? C’è dunque una valutazione pregiudiziale (nel senso della scelta di un pregiudizio). La valutazione, la giustizia si fa e si attribuisce prima che il soggetto abbia fatto la sua deposizione.

Che certi testimoni siano per quello che possono, debbono o dovrebbero dire davanti alla giustizia, oggetto di ritorsioni, di minacce e, addirittura, di tentativi di soppressione violenta, non c’è dubbio. Che siano quelli e solo quelli che depongono in processi cosiddetti di mafia, non è detto. Nei processi di mafia, un teste a discarico è quasi sempre oggetto di più o meno esplicite minacce di qualche sbirro iperattivo. Ma che possa attribuirsi una speciale qualifica, anche nella denominazione usata da un ministro, ad alcuni di essi, sia pure i più esposti a minacce e pericolo, è cosa che incide sulla equità del processo.

Ci sono, poi, i “collaboratori di giustizia”. Sono un gradino più su dei “testimoni di giustizia”. Perché sono dei delinquenti “pentiti”. Come tali non solo assumono l’allarmante e discriminante qualifica di “collaboratori”, ma concrete diverse “mansioni”. Si conosce (e bene!) il caso di loro partecipazioni alle indagini e non solo di quelle per i fatti di cui sono stati partecipi. Sono autorizzati a riferire le “voci correnti”, il “sentito dire”, cosa vietata ai testimoni che non possono vantare precedenti di appartenenza alla criminalità. Una volta era vietata la testimonianza dei complici. Dopo un balletto di contraddittorie prese di posizione giurisprudenziali e legislative, oggi i complici “pentiti” sono testimoni di pieno diritto. Anzi, dei supertestimoni. Ogni elemento addotto per demolirne l’attendibilità è definito “tentativo di delegittimazione”. Se non è “concorso esterno”, poco ci manca. Ora si aggiunge, questa altra categoria: “Whistleblowling”. Si può dire che esiste ancora la figura del testimone? Intanto bisognerebbe aggiungere l’aggettivo “comune”. Comunemente dileggiati e considerati un po’ banali e fastidiosi.

Quando ero un ragazzo sentivo i contadini che si gloriavano di appartenere a famiglie integerrime: “Noi con la giustizia nun c’avemo mai avuto a che fa’. Manco come testimoni”. Quanta saggezza e preveggenza!


di Mauro Mellini