Pausa di riflessione

mercoledì 22 novembre 2017


Più volte mi è capitato di definire questo serrato impegno nello scrivere che mi ha preso in questi ultimi anni della mia vita. Senza il minimo senso di autocommiserazione lo definisco, con un po’ di orgogliosa ironia “grafomania senile”. Mania si direbbe proprio questo impormi ogni giorno di versare agli amici, agli altri, alla gente, il mio pensiero sul mondo che mi circonda e che ha rappresentato e rappresenta lo scenario dei giorni del mio vivere.

È una “mania” che, peraltro, trovo ogni giorno di più ineludibile, davanti allo spettacolo del vuoto, vuoto di idee, di ideali, di giudizi, di speranze, di sdegno, che sono costretto a constatare in altre più ragionevoli figure della scena che la sorte, quel pezzetto di storia che coinvolge anche quelli di noi che non hanno né sanno di non averne o non avevano, mi ha assegnato.

Insomma scrivere, interrogarmi sulle mie stesse opinioni, comunicare agli altri quel tanto che merita di essere e di diventare patrimonio comune, non è pretesa di qualcosa che ci aiuta ad affrontare la nostra fine, ma ragione di vivere. Orgoglio di vivere.

E allora, senza pormi altri interrogativi su quel che sento di dover fare, continuo a riflettere ed a scrivere, per versare riflessioni ed esperienze nel patrimonio ideale di chi mi circonda, di quanti posso raggiungere. E’ l’unico modo che conosco di fare veramente del bene a me stesso ed al prossimo, anche a quella parte assai rilevante di esso che quotidianamente derido e sbeffeggio perché so che l’umanità impone e consente a ciascuno di noi di essere almeno un pochino migliore di quello che siamo e che rischiamo di accettare come ineluttabile. Le mie convinzioni politiche sono le stesse che ho concepito acquistando l’uso della ragione e quel po’ di sapere che sono riuscito ad acciuffare, magari un po’ frettolosamente.

Eppure il mondo, come si suol dire, è da allora cambiato e di molto. Ho concepito, in mezzo alla vergogna della servitù e dell’indifferenza, degli orrori e delle delusioni, visioni di palingenesi, di definitiva vittoria del bene, della libertà, dell’uguaglianza. Non mi dolgo di quell’errore. Perché se errore vi è stato è quello di una comoda definitività della vittoria di tale principio.

Vincere le battaglie di libertà significa conquistarsi ogni giorno la possibilità di continuare a combattere, a pensare, a costruire, a difendere il vivere libero. Vincere per la libertà significa continuare a combattere, a pensare, a sentire il dovere ed il piacere di farlo. Non vorrei lasciarmi prendere dal suono delle parole. La retorica è sempre stata dalla parte opposta alla mia e ne ho inteso il danno e la vacuità quanto più mi fiorisse vicina e vicina alle mie stesse idee.

Credo che nello squallore del momento presente qualcosa di positivo si offra a chi vuole combattere questa battaglia degli spiriti liberi: la visione tutto sommato facile ed esatta delle ragioni della decadenza e del rovinare verso la fine delle nostre libertà. Lo spaccato della nostra società, delle nostre istituzioni, della nostra Repubblica è quello di una complicazione oramai incontrollabile. Ho altre volte parlato di “legalità insostenibile”. Ci sarebbe da scrivere volumi. Ma basta rifarsi ad un detto ironico: “complicazione delle cose semplici”.

Il fardello dello statalismo, acquisito sciaguratamente proprio durante la lotta a quello proprio e programmato delle dittature assassine del secolo XX è divenuto metodo, atto peraltro, più alla demolizione dell’armonica semplicità delle istituzioni libere, che alla costruzione di un’opposta macchina di produzione e di potere. È un fardello insopportabile per la società, l’economia, la vita, i costumi della gente.

Il liberalismo “corretto”, “protetto”, spurgato da vizi reali ed immaginari produce di per sé il suo opposto, ma, soprattutto induce alla creazione di poteri, abitudini, sentimenti, forme di “pseudolegalità”, di prassi “parallele”, oscene e delittuose. E la pletora delle norme, delle regole, dei divieti, degli obblighi produce il vuoto culturale e morale che rischia di travolgere e soffocare le nostre libertà, la nostra Repubblica. Ecco oggi l’obiettivo della battaglia della libertà, l’impegno degli uomini liberi. Un nuovo illuminismo, un nuovo modello di Stato, di poteri pubblici, semplice, sopportabile, naturale.

I cretini sono tanti e godono ottima salute”, scriveva Leonardo Sciascia. Essere democratici non può significare volere il governo, il potere dei cretini. Non può voler dire sopportarlo. Né rinunziare ad altro. L’altro che è la nostra ragione di vita.


di Mauro Mellini