Beata competenza

martedì 9 gennaio 2018


Un aforisma, un commento - “Andrew Carnegie, il re dell’acciaio, ha voluto che sulla sua tomba fosse scritto: ‘Qui giace un uomo che non sapeva fare nulla. Ma sapeva circondarsi di persone che sapevano fare’. Una semplice lezione sulla leadership che Beppe Grillo avrebbe dovuto studiare attentamente, prima di combinare pasticci.

Da un po’ di tempo si fa un gran parlare dell’importanza della competenza nell’attività politica. Una vera e propria scoperta dell’acqua calda che, però, viene assunta da molti politici e commentatori come un geniale fattore di rinnovamento.

Qualsiasi cosa si intenda per competenza, essa è ovviamente necessaria in tutte le istituzioni fra le quali i ministeri sono al primo posto. Ma la migliore politica, nella sua accezione generale, non é fatta da specialisti bensì da uomini che, come Carnegie, sanno valutare altri uomini, ossia, appunto, gli specialisti, e sanno determinare le decisioni coordinando le loro competenze. In tutto questo si gioca l’efficacia e l’efficienza non solo di una azienda ma anche quella di un Governo e della Stato nel suo insieme. La differenza, fra un Governo e un’azienda, riguarda il tasso di eterogeneità dei fini da perseguire: mentre la “dottrina” che funge da valore di orientamento di un’azienda è costituita unicamente dalle idee e dalle conseguenti innovazioni che le consentono di generare profitto, quella di un Governo è costituita da idee e poi da azioni che cercano di generare il massimo benessere dell’intera società in quanto entità estremamente eterogenea.

In ambedue i casi, tuttavia, è indispensabile la presenza di leader in grado di valutare, coordinare, guardare lontano e alla fine decidere sulla scorta di una specializzazione che tale non è, cioè di una forte attitudine alla sintesi. Riconoscere un potenziale uomo politico di valore non è ovviamente cosa facile ma non impossibile. È evidente che chiunque può aspirare a fare politica e, entro certi limiti, ciò è anche doveroso. Ma gli elettori dovrebbero valutare i candidati in base alle loro idee e alle loro realizzazioni nella vita privata, nelle attività che più siano simili alla politica.

La loro professione, in se stessa, ha un’importanza limitata ma, anche in questa, un buon candidato dovrebbe possedere una chiara esperienza. Egli dovrebbe avere fornito una buona testimonianza, vuoi in fatto di idee politiche vuoi in fatto di coordinamento di altri uomini. Come abbiamo ricordato sopra, le idee politiche sono indispensabili per dare significato e orientamento all’azione ma altrettanto indispensabile è che le idee vengano messe in azione da uomini capaci. È solo la capacità personale che mette in grado un leader di fare buon uso dei consigli degli specialisti di cui sa circondarsi.

Addirittura, come ha scritto Machiavelli, “... un principe il quale non sia savio per sé stesso non può essere consigliato bene [...] I buoni consigli, da qualunque vengano, conviene nascano dalla saggezza del principe, e non la saggezza del principe dai buoni consigli”. Se adottiamo questo principio, tenendo conto delle considerazioni fatte sopra, non possiamo che rimanere a dir poco perplessi di fronte agli attuali dirigenti e candidati del movimento che Grillo ha costruito attorno a sé: uomini dal curriculum nebbioso e senza alcuna dichiarata afferenza ideale, orgogliosi della propria onestà come fosse una loro esclusiva, capaci di trasferire le chiacchiere da bar sulla tastiera di un computer o di un cellulare ma del tutto insipienti sul piano degli obiettivi da raggiungere che non siano l’abolizione di questo o di quello. Del resto, e non a caso, questa triste inconsistenza risiede prima di tutto in Grillo stesso il quale crede che la scena politica sia solo un prolungamento del palcoscenico sul quale urlare banalità per strappare le risa e, ora, i voti.

Delle coalizioni di destra e di sinistra si può dire tutto il male che si vuole, ma è pur vero che, tirando le somme, la destra aspira a governare secondo orientamenti individualistici e liberali e una attento controllo della spesa pubblica così come la sinistra si mostra da sempre più incline alla protezione sociale, e al deficit spending.

Idee opposte dalla cui alternanza, però, tutti i Paesi occidentali hanno tratto, e traggono tuttora, notevoli benefici. In questo senso, il movimento di Grillo non è né carne né pesce, e solo con enorme superficialità e arroganza i suoi uomini possono dirsi sicuri di poter soddisfare i principi e le esigenze di tutti, di destra e di sinistra, dell’economia e della socialità, contro corruzione e privilegi, per un’Europa migliore e così via. Essi non rappresentano la “terza via”, in grado di superare i conflitti, che invece sono salutari, fra le grandi idee politiche su cui si fondano le attuali democrazie. Essi sono solo un vicolo cieco. Si dice che il movimento in questione stia svolgendo la preziosa funzione di drenare flussi pericolosi di protesta di indole estremista. In realtà, l’estremismo più pericoloso è esattamente il loro perché l’altro, o, meglio, gli altri, sono ben riconoscibili e l’elettorato italiano non li premierebbe mai. Al contrario, quello grillino è molto più minaccioso perché diluito e camuffato in mille rivoli e contraddizioni interni che gravano sul nostro futuro come la spada di Damocle.


di Massimo Negrotti