Femminicidio: salvata Carmen

venerdì 12 gennaio 2018


Dovrò fare penitenza. Vestito del saio con i piedi nudi (col rischio, alla mia età, di una letale polmonite). Penitenza per non aver compreso tempestivamente il valore di una parola: “femminicidio”.

Mea culpa! Per aver fatto degli indecenti sberleffi a questo separatismo dei sessi di fronte all’omicidio. Mea culpa! Non avevo capito che superando una vieta, cieca unitarietà filologica dell’“ammazzamento” si realizza un passo avanti gigantesco verso l’emancipazione femminile, il voto di preferenza di genere, il sacerdozio femminile (che aspetta Bergoglio?) etc. etc.. E verso la riduzione del numero delle donne ammazzate.

Che di fronte all’uccidere si debba distinguere tra uomini e donne sia il modo migliore per “pareggiare” i conti non è una novità. Una volta uccidere una donna era considerata una vigliaccata, un gesto indegno di un gentiluomo. Ma quella era un falso riguardo, sostanzialmente maschilista ed anche, credo che Rosy Bindi sia d’accordo, scandalosamente mafiosa, anche se del vecchio stampo.

Mea culpa! Non avevo capito che ostinandomi a chiamare “omicidio” (anche se non uomicidio) l’uccisione di una donna, invece che, appropriatamente, “femminicidio”, chissà quante vite di donne ho lasciato che si sacrificassero. Perché, se ci decidiamo di non fare confusione e dire pane al pane e femminicidio all’uccisione di una donna, si ridurrà il numero delle donne ammazzate, arrivando a delle “quote rosa” degli ammazzamenti più equo e quasi tollerabile. Per fortuna c’è chi certe cose le capisce. Il regista teatrale Muscato, ad esempio, non solo ha capito l’importanza del lessico, ma anche quella della storia. Una storia, una cultura che fino ad oggi aveva fatto una gran confusione, una indecente promiscuità dei sessi in fatto di ammazzamenti. Quindi dalle parole è passato ai fatti. Cambiare la storia, cambiare le storie e i “libretti” delle opere liriche, avvalersi dello “jus rimaneggiandi” dei registi d’avanguardia. E così ha salvato una vita (non una vita qualsiasi). Ha salvato la vita di Carmen, la protagonista dell’opera di Bizet, destinata a morire ammazzata, vittima di un efferato femminicidio all’ultima scena dell’opera.

Nella “Carmen” di Muscato non solo la Carmen si salva, ma è lei che con un colpo di pistola fa fuori José. Forse ha esagerato. Ma tanto nessuno la accuserà (spero) di maschicidio. Direi che il “salvataggio” di Carmen dal femminicidio è stato comunque completato da quello che un imprevisto incidente ha fatto sì che si realizzasse: il salvataggio da un sempre possibile processo per “eccesso colposo in legittima difesa”. I sostenitori del “femminicidio” sono in genere contrari (tralasciamo le considerazioni antropologiche) ad una certa larghezza in fatto di legittima difesa. Ma il caso, dicevamo, se ne è fatto carico. La pistola che avrebbe dovuto chiudere l’opera con un maschicidio si è inceppata. Ha fatto click! Ma José, cortesemente, è egualmente stramazzato secondo il neocopione. La gente ha fischiato, non il click della pistola ma la versione antifemminicida muscatiana dell’opera di Bizet.

Il sindaco di Firenze si è incavolato per queste manifestazioni di insensibilità socio-cultural-giuridica dei suoi concittadini. Teresa Megale, docente di storia del teatro, ha solennemente dichiarato: “Anche io il finale lo avrei cambiato, non solo in quanto donna ma perché i capolavori della lirica... devono vivere lo spirito del tempo”. La prof. è, come dire, molto spiritosa. Addirittura il femminicidio no, ma...


di Mauro Mellini