La razza, la costituzione, l’ipocrisia

Non credo sia inutile, anche se non è piacevole, ritornare sulla questione della parola “razza” della frase di Attilio Fontana, delle grida scandalizzate “e poi prima di tutto”, del senso di disagio che un po’ tutti proviamo a parlare di queste cose, a cercare la correttezza delle parole, a doverci tornar sopra di fronte alle distorsioni e di fronte all’ipocrisia dei più.

Quasi contemporaneamente con Fontana io ho notato che, intanto, è la Costituzione stessa a parlare di “razze”. Se è vero che per accodarsi servilmente al razzismo criminale di Hitler, Mussolini (che nel famoso libro intervista a Ludwig, aveva dichiarato “la razza è un’idea”) dovette inventarsi una “razza italiana”, e ciò ai fini esclusivi della persecuzione degli Ebrei come appartenenti ad una “razza” diversa e nemica, le razze e le loro diversità esistono e sostenere tale esistenza non è né una menzogna (come quella dell’esistenza  di una specifica “razza” italiana, che è cosa ben diversa dalla “nazione”) né tanto meno la premessa di una pretesa razzista.

La stessa affermazione di una particolare capacità di una qualche razza e, quindi di una “superiorità” in un certo campo di taluna di esse rispetto alle altre (ad esempio degli Africani del Kenya e di altri paesi nelle gare di corsa lunga) non è certo espressione e pericolosa “apertura” al razzismo. La legge oggi in vigore sulla repressione del razzismo è, al riguardo poco felice in quanto punisce una condotta generica e malamente circoscritta (l’affermazione della superiorità di una razza su altre…).

È anche vero che gli Italiani non sono razzisti o lo sono assai meno di altri popoli. Di “razza”, i più avevano inteso parlare solo nella triste fase della aberrante persecuzione. È quindi naturale che il solo sentire parlare di razza evochi in Italia la persecuzione piuttosto che altri aspetti del problema.

La Costituzione, condannando ogni discriminazione fondata sulla razza, ha, implicitamente riconosciuto l’esistenza e la rilevanza delle razze e del differenziarsi in esse del genere umano. È il rispetto dell’umanità, il riconoscimento del suo valore universale ed intangibile che segna il diritto fondamentale cui la Costituzione si ispira.

Ma la Costituzione Italiana va oltre. Non tutela solo la diversità razziale delle persone. Tutela anche le “razze”. È, anzi, caratteristica della nostra Costituzione aspirare ad un “miglioramento” della tutela dei diritti civili, consistente nella affermazione e nella protezione “delle formazioni sociali in cui si esplicano”. Così non solo il credo religioso, ma le confessioni religiose, non solo i cittadini diversi per razza, ma le razze, le etnie. E leggi costituzionali di tutela delle minoranze sono espressioni di questa linea del pensiero costituzionale.

Mettiamo da parte i problemi delicati di non facile soluzione di collisioni inevitabili tra queste due diverse accezioni del concetto di parità di razza (e di religione etc.). E cominciamo col prendere atto che il riconoscimento e l’impegno di tutela della “razza” come collettività, etnia, è anzitutto diretto alla salvaguardia delle identità. E alla preservazione, alla tutela dai rischi di soppressione, estinzione. Anche di questo sono prova le leggi costituzionali di tutela delle minoranze, che si pongono chiaramente l’obiettivo di tale preservazione.

Se dunque la conservazione, la tutela dal rischio estinzione è “naturale” per le minoranze, è una palese sciocchezza sostenere che non lo sia altrettanto per quella che ora è una maggioranza. E che, addirittura, sia una proposizione razzista, di prepotenza e di abuso del concetto di razza, ipotizzare e paventare, e di conseguenza invitare a trovare misure protettive, il “rischio estinzione della razza bianca”.

Si potrà discutere se tale rischio sussista veramente. Cosa che, poi, si riduce alla valutazione del tempo entro il quale ciò possa verificarsi. Si potrà riconoscere, o negare, che questo è un gridare “al fuoco” quando non si levano né fiamme né fumo. Ma non si può dar luogo a reazioni isteriche, al classico (una volta) “ha detto male di Garibaldi”, di fronte a una frase come quella di Fontana. Che, poi, essa sia espressione di una preoccupazione del tutto o parzialmente elettoralistica, non cambia granché i termini della questione. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Aggiornato il 19 gennaio 2018 alle ore 08:18