Istat, italiani più vecchi e soli

Popolazione in calo, nascite al minimo storico, vita sempre più lunga ma spesso, soprattutto verso la fine, solitaria: nel 2017 in Italia è aumentato lo squilibrio demografico, ma anche la disuguaglianza e la povertà nonostante la ripresa economica e la crescita del mercato del lavoro. È la fotografia scattata dall’Istat con il Rapporto annuale sulla situazione del Paese presentato oggi alla Camera nel quale si guarda non solo agli aspetti demografici ed economici ma anche alle “reti” delle persone, ovvero coloro che in caso di bisogno sono disponibili a dare un aiuto concreto.

L’Italia è il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone con un’aspettativa di vita di 81 anni per i maschi e di 85 per le femmine e con 170 over 65 ogni 100 bambini (tra zero e 14 anni). Una situazione rischiosa per il sistema previdenziale dato che il tasso di occupazione pur in crescita (al 58 per cento nel 2017) resta tra i più bassi in Europa, soprattutto a causa della scarsa partecipazione al mercato del lavoro delle donne. Se l’occupazione aumenta (+265mila persone) superando quota 23 milioni (sfiorando i livelli pre-crisi) “aumenta la disuguaglianza dei redditi e la povertà assoluta”. Ci sono più famiglie con due persone che lavorano ma l’ascensore sociale è di fatto bloccato con possibilità molto maggiori di successo nell’istruzione e nel lavoro per le persone che hanno una “dote” familiare alta - in termini economici e sociali - rispetto a coloro che hanno una dote bassa. Così un giovane che proviene da una famiglia con una casa di proprietà, genitori laureati con una buona posizione professionale ha molte più possibilità di ottenere un titolo di studio universitario rispetto a chi non ha queste condizioni di partenza.

In pratica il 43,5% delle persone ha una dote bassa ma queste persone rappresentano solo il 18,5% totale dei laureati. Le persone con una dote alta sono l’8,4% del totale ma sono il 26,5% tra i laureati. La cerchia di parenti e amici è anche decisiva nel trovare e non solo nel cercare un impiego: lavora grazie a questo ‘‘canale informale’’ il 47,3% (50,6% al Sud). Per questo il presidente dell’Istat Giorgio Alleva indica tra le priorità il rafforzamento dei centri per l’impiego, che è poi anche il primo passaggio identificato dal M5s per realizzare il reddito di cittadinanza. Prosegue poi la fuga di cervelli: “Molti italiani con alto livello di distruzione lasciano il Paese - scrive l’Istat - pochi vi fanno ritorno”. La fascia di età nelle quale si registra la perdita più marcata è quella tra i 25 e i 39 anni (-38.000 unità), quasi il 30% con almeno la laurea. L’Istat sottolinea come sia aumentata la povertà assoluta con 1,8 milioni di famiglie e cinque milioni di persone (l’8,3% dei residenti a fronte del 7,9% del 2016) in situazione di grave disagio. È cambiata molto anche la mappa del lavoro con una riduzione decisa per il lavoro manuale. Nell’ultimo decennio operai e artigiani hanno perso un milione di unità mentre si contano oltre 860mila unità in più per le “professioni esecutive nel commercio e nei servizi”.

La vita si allunga ma spesso è solitaria con gli anziani che restano soli per il 70% del tempo e interagiscono con gli altri in media per quattro ore al giorno, per lo più con familiari con cui vivono (65% dei casi), amici e vicini. E la qualità della vita da anziani dipende molto da dove si risiede con differenze significative tra Nord e Sud. Se la media nazionale è di 60 anni vissuti in buona salute per gli uomini e 57 anni e 8 mesi per le donne, chi nasce nella provincia autonoma di Bolzano ne guadagna quasi 10 (69,3 per gli uomini e 69,4 anni per le donne) mentre gli uomini della Calabria e le donne della Basilicata sono ai livelli più bassi per le rispettive graduatorie di genere, con un numero medio di anni da vivere in buona salute rispettivamente di 51,7 e 50,6 anni.

(*) Ansa

Aggiornato il 17 maggio 2018 alle ore 11:37