I Radicali ricordano Tortora a 35 anni dall’arresto

Sabato 16 giugno 2018, venerdì 17 giugno 1983. Trentacinque anni dall’arresto in pompa magna mediatica di Enzo Tortora. E non sentirli. Sì, perché la giustizia in Italia è rimasta la stessa. Anzi è peggiorata. Lo stesso dicasi per certo giornalismo. Colpevolista su Tortora ieri, colpevolista su chiunque oggi.

In compenso, se è vero come è vero – fonte errorigiudiziari.com – che ogni anno mille nuovi innocenti entrano in carcere per iniziare il viaggio in un girone infernale che chissà quando vedrà la parola fine, il “mostro” è sempre tra noi. Circa tre innocenti al giorno entrano in carcere nel Bel paese. Una macchina seriale di errori giudiziari e di risarcimenti che allo Stato italiano negli ultimi 25 anni sono costati almeno 700 milioni di euro. Anche se il ministero di via Arenula (adesso presidiato dal grillino Alfonso Bonafede, che non ha la fama di essere un garantista) tende a occultare quei dati. Per un malinteso pudore delle malefatte compiute dalla pubblica amministrazione. Come mettere la sporcizia sotto il tappeto insomma.

Per parlare di Enzo Tortora a 35 anni dal suo arresto e a trenta dalla sua morte per il cancro che gli “esplose dentro il petto come una bomba”, sabato non sarà da perdere il convegno ad hoc organizzato dal Partito radicale nella sede storica di via di Torre Argentina, 76. Un convegno fortemente voluto (oltre che dallo stato maggiore del partito oggi orfano di Marco Pannella, cioè Rita Bernardini, Sergio D’Elia, Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti, Laura Harth, eccetera) da Irene Testa, responsabile de “Il detenuto ignoto”, dall’associazione Enzo Tortora, e dal sito errorigiudiziari.com dei due giornalisti Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi. Che su circa 800 clamorosi casi giudiziari – finiti con un’assoluzione dopo una lunga e travagliata odissea fatta spesso di anni passati in galera – hanno raccolto anche un archivio.

Lattanzi e Maimone presenteranno al pubblico dieci persone che rappresentano altrettanti drammi di innocenza profanata e di giustizia negata. Dieci persone che ci metteranno la faccia davanti al pubblico radicale riunito all’uopo anche per la presentazione delle otto leggi di iniziativa popolare su stato di diritto e dintorni: amnistia e indulto, revisione del sistema delle misure di prevenzione, delle informazioni interdittive antimafia e delle procedure di scioglimento dei comuni per mafia, riforma del sistema di ergastolo ostativo e del regime del 41 bis, abolizione dell’isolamento diurno, incarichi extragiudiziari dei magistrati, riforma della Rai, riforma delle leggi elettorali nazionale ed europea. I loro nomi (Anna Maria Manna, Bruno Lago, Stefano Messore, Gerardo De Sapio, Antonio Lattanzi, Daniela Candeloro, Vittorio Gallo, Antonio Perruggini, Angelo Massaro e Diego Olivieri) non diranno molto a chi non si nutre ogni giorno di cronaca giudiziaria. Eppure corrispondono ad altrettanti abbagli della magistratura italiana e dei suoi corifei della carta stampata.

Uno per tutti, Angelo Massaro, dopo Giuseppe Gullotta, è la persona che si è fatto più carcere da innocente in Italia: 21 anni e passa. La storia che lo caratterizza ha per protagoniste involontarie le tanto idolatrate intercettazioni telefoniche: quelle in dialetto tarantino interpretate male lo incastrarono in un omicidio da cui venne riconosciuto innocente solo 20 anni dopo l’arresto. Al Corriere della Sera in una clamorosa intervista video disse di essersi salvato dalla depressione e dalla probabile morte in carcere facendo yoga. A Carlo Vulpio, storico inviato del “Corriere”, raccontò: “Non pensavo che... per una intercettazione telefonica in cui dicevo a mia moglie, in dialetto, “tengo stu muert”, cioè “ho questo morto, questo peso morto”, un Bobcat che trasportavo nel carrello agganciato all’auto e che dovevo lasciare prima di andare a prendere mio figlio per accompagnarlo a scuola, sarei finito in carcere per oltre 20 anni”.

E invece ha dovuto subire una condanna definitiva e 21 anni di galera. Da cui venne tirato fuori solo dopo l’avvenuta revisione del processo. Massaro era intercettato per questioni di droga essendo stato da essa dipendente, quindi i pm si erano fatti di lui un’idea pregiudizievolmente errata. Purtroppo per lui, a causa del comma primo dell’articolo 314 del codice di procedura penale – “Chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave” – sarà difficile che possa ottenere un’equa riparazione. Siccome si drogava, è il ragionamento che in questi casi fa il legislatore, ben gli sta l’errore giudiziario subito. Sarebbe l’essersi drogato infatti la “colpa grave” di Angelo Massaro. Nonché la probabile esimente che salverà lo Stato dal risarcimento milionario altrimenti dovuto. Una specie di concorso di colpa come per il pedone che attraversa con il semaforo rosso. Ma una giustizia con queste leggi è più da Paesi come la Turchia di Erdogan che per l’Italia di Cesare Beccaria.

Aggiornato il 18 giugno 2018 alle ore 12:01