Nell’Italia della “povertà irreversibile”

Nel 2005 è entrata in uso per l’Istat la nuova classificazione reddituale, che divide la povertà in assoluta e relativa. Nel 2012 gli addetti ai lavori (un fritto misto tra bancario e fiscale) si sono accorti che i poveri assoluti contengono anche la sottocategoria dei “poveri irreversibili”, ovvero coloro che per motivi fiscali, bancari, abitativi e per evidenti incapacità endogene di frenare la povertà sono ormai votati a una vita di stenti incontrovertibile. Nessuno può o vuole aiutarli, anzi c’è stato anche chi ha ricordato come in Olanda l’accesso al “suicidio assistito” sia pagato dallo Stato per “gravi situazioni irreversibili per l’essere umano” (quindi dalle malattie alla miseria).

L’Italia di oggi conta quasi sei milioni di poveri assoluti, circa sette milioni di poveri relativi e ben tre milioni di poveri irreversibili. Nel 2008 i poveri assoluti erano in Italia meno di due milioni, e la povertà era reversibile per tutti. Oggi, se solo si provasse a inserire nelle anagrafi bancarie e tributarie il nominativo di un “povero irreversibile”, ci si accorgerebbe che questa tipologia d’individui sono i nuovi “paria cibernetici”. Che di fatto abbiamo varato nel nostro Occidente, nella nostra Italia, una nuova struttura sociale fatta di caste, e che l’ultimo gradino di povertà è costituito da intoccabili, invisibili, gente non aiutabile. Un fardello sociale a cui si vorrebbe precludere ogni futuro, ogni speranza: la loro posizione è peggiore di quella dei migranti, e perché il sistema usuraio non cancellerà mai i loro debiti. Nessuno tende loro una mano per timore di ridursi inviso a quelle banche dati (intelligenze artificiali) che quotidianamente aggiungono nuovi esseri umani all’elenco dei paria cibernetici.

Dal 2017 l’Italia è statisticamente il Paese europeo con più poveri, e l’Ue ha chiesto formalmente al Belpaese d’ignorare il fenomeno: si tratta della stessa Unione europea che potrebbe sanzionare l’Italia per non aver fatto il proprio dovere con i migranti. Al danno la beffa, l’Ue ha chiesto all’Italia di ridurre il personale medico e di ulteriormente centellinare i laureati in medicina: ecco che il nostro Paese dovrà fronteggiare un’emergenza sanitaria epocale, e per evitare di pagare multe all’Ue. Entro il 2022 avremo in Italia 11mila medici in meno, creati dal sistema con “pre-pensionamenti” e “contingentamento di nuovi specialisti”. Lo afferma la Federazione delle aziende sanitarie pubbliche, che ha pure spiegato come gran parte degli italiani (anche i poveri) verranno esclusi dalle cure mediche pubbliche. In questo quadro desolante c’è anche chi ha proposto di staccare la spina delle cure mediche dopo una certa età anagrafica e, soprattutto, che a curare i poveri non sia più lo Stato ma non ben identificati enti benefici (da strutture religiose a laico filantropiche). È la fine dello “stato sociale”, e questo mentre un istituto come il Credit Suisse pubblica l’ottava edizione del “Global Wealth Report”: secondo la pubblicazione del 2017, la ricchezza globale ha ripreso a crescere, risultando addirittura superiore del 27 per cento ai livelli pre-crisi, ma quella crescita genera sempre maggior povertà. Un’altra categoria di poveri farà capolino nelle statistiche italiane del 2018, sono i “Millennials”: ovvero giovani con “formazione migliore dei loro genitori, ma meno chances sociali di possedere ricchezza” (così viene definita la nuova categoria, già appellata come “laureati poveri”). E l’Ue rispolvera il leninistico “tanto peggio tanto meglio”, consigliando ai Paesi poveri l’ulteriore riduzione d’investimenti pubblici.

Aggiornato il 18 luglio 2018 alle ore 11:31