Legittima difesa: dagli esaltati

venerdì 20 luglio 2018


Si comincia a parlare e, soprattutto a straparlare, di “legittima difesa”.

Che in Italia l’esimente antica quanto il più antico diritto, quella di “aver agito (in maniera altrimenti delittuosa) per evitare il danno dell’offesa e del crimine altrui” sia tortuosamente concepibile e praticamente male applicata, così che il dover ricorrere alla propria difesa sia una ulteriore sciagura per chi subisce la violenza altrui, è fatto incontestabile.

La legislazione e la dottrina giuridica su di essa sviluppatasi della difesa legittima è tra le più rigorose e restrittive del mondo, ma soprattutto, ed è questo il vero problema, l’applicazione da parte della Magistratura e delle stesse Forze dell’ordine di così delicato istituto è praticata di malavoglia, partendo da una presunzione di colpevolezza di chi, quale che fossero le circostanze, si è difeso colpendo o uccidendo. Paradossalmente uno che tenta di difendersi dalle più brutali delle aggressioni può dirsi esente da guai solo se non ci riesce. Come al solito alle imperfezioni e alla macchinosità della legge si aggiunge la macchinosità e l’imperfezione, da dover sempre dare per scontata, della Giustizia.

Il problema, dunque, per i cittadini più esposti ai delitti altrui, alle rapine, alle irruzioni in case più o meno isolate, al tentativo di stupro, è tale che non basta che la sorte, la preveggenza, le qualità psichiche e fisiche offrano lo scampo possibile di una pur sempre rischiosa autodifesa. C’è sempre da fare i conti con il pericolo di non vedersi “giustificare”, di sentirsi contestare che quel colpo di bastone, di pistola, magari quella mossa di judo erano sì, in qualche modo necessari a difendersi. Ma “eccessivi”. Difendersi va bene, ma con una certa delicatezza, nella “giusta misura” etc. etc..

Ora che la questione è passata nelle mani e nei discorsi di ignoranti del diritto, si potrebbe sperare, almeno, che tenda a liberarci dell’abuso dei peli nell’uovo. Sorgono però altre cavolate, si ritorna paurosamente a rimettere in discussione questioni che in verità erano state superate addirittura da secoli. O sembrava che lo fossero.

Sentivo l’altra notte, prima di fare a tempo a cambiare canale, preso dallo sdegno e dalla depressione, una discussione pro e contro una “novità” in fatto di difesa dai delinquenti che soprattutto Matteo Salvini promette a pieni mani a destra e a manca. A favore le solite argomentazioni: le rapine in gioiellerie, le aggressioni, le invasioni in case di anziani, le strade insicure, le “cacce” a scopo di stupro di donne e ragazze. E casi di commercianti che, però, avendo difeso il frutto di anni di lavoro trascinati a rispondere di “eccesso colposo…”. Di contro della proposizione altrettanto sciocca e abusata. E imbecille. “Il compito di difendere i cittadini è dello Stato. Non possiamo tornare al Medioevo, alla difesa privata…”.

Sciocchezza. E malafede. Nessuno in nessuna parte del mondo vuole sostituire la difesa privata a quella pubblica, anche se può avere buone ragioni per diffidare dell’efficienza di quest’ultima. Ma nessuna difesa pubblica della incolumità e dei beni dei cittadini è assicurata in modo così efficace da rendere inutile o del tutto straordinario ed eccezionale il fatto che, rimasta alla mercé dell’aggressore, la vittima non abbia altra speranza che quella di difendersi da sé, se ci riesce. Altra stupidità e altra malafede. La leggenda che, ampliando in qualche modo i margini di legalità dell’autodifesa, avremmo il dilagare del procurarsi armi d’ogni genere, saremmo al Far West (che non era, poi, quella selva di pistole che appare nei film).

La realtà è che il possesso di un’arma legittimamente posseduta “per difesa personale” oggi costituisce, di fatto, un pericolo più che una salvaguardia per chi la detiene. E allora? Allora credo che bisogna sempre tenere presente che “difendersi” è cosa sacrosanta. Ma che bisogna trovare il modo perché “difendersi” abbia un significato anche di fronte a quelle ulteriori offese dalla dignità, dalla tranquillità e agli interessi di vittime designate di rapine, aggressioni, omicidi, stupri da parte della cosiddetta “Giustizia”. Difenderli dalla presunzione di colpevolezza, difenderli da avvisi di garanzia che garantiscono solo guai, difenderli, magari, dal “pentimento” del loro aggressore e da quello dei suoi complici con il quale corriamo il rischio di diventare il rapinatore, il mafioso, il malvivente.

Dirlo a Salvini? Certe “sottigliezze” lo irritano. Ma, potrebbe anche capire. Non bisogna mai pentirsi di aver cercato di ridurre qualcuno alla ragione.


di Mauro Mellini