Finalmente arrivano i pirati!

venerdì 27 luglio 2018


Gli amanti della musica e della cultura etnica saranno contenti. Arrivano i pirati. Non sono simpatici attori vestiti come capitan Uncino, in Peter Pan, ma bande armate nigeriane. Prenderanno finalmente Wendy, per metterla in mezzo a una strada, a battere. A nulla varranno le proteste dei bimbi sperduti, perché verranno trucidati. Trilli verrà pestata in un mortaio e usata per farci fatture vodoo. Fine della fiaba, e non è certo romantica.

Già nel 2006 la Dia dava l’allarme sull’entrata delle organizzazioni criminali africane in Italia. La più agguerrita e feroce pare essere la mafia nigeriana. Organizzazione criminale, determinata, gerarchica. Nulla di nobile insomma. Certamente di temibile. Uno qualsiasi dei loro aderenti, confrontati ai nostri massimi criminali, farebbero apparire questi ultimi delle educande collegiali. Le organizzazioni criminali italiane, genericamente indicate come “mafie” sono cresciute all’interno di un mondo nostrano in cui ci sono alcuni comportamenti, diremmo codici d’onore, che vanno rispettati. Ne sono nati degli equilibri, certamente deprecabili, non solo tra Stato e mafia, ma anche tra mafia e popolino. Le organizzazione criminali africane sono nate in un contesto molto diverso dal nostro, meno “smaliziato”. Non sanno cos’è la legge e l’ordine, non hanno forme culturali pregresse in cui inserirsi. La mafia nigeriana e le altre si inseriranno in un ambiente nuovo, quello italiano, con gli stessi mezzi con cui si sono fatte strada nel loro Paese d’origine: il coltello, il vodoo e il machete. Il mercato che rende meglio ai capi tribù delle mafie africane sono quelli della droga e del sesso. Lo spaccio e la prostituzione la fanno da padroni, così come la tratta di esseri umani per vari scopi: si va dai sacrifici umani a scopo religioso, fino al mercato degli organi.

L’associazione mafiosa più agguerrita pare essere la Black Axe, già radicata nelle città italiane: Torino, Novara, Alessandria, Roma, Napoli e Palermo. La grande massa di migranti che stanno arrivando sulle nostre coste sono una manna per i gruppi criminali africani che si sono inseriti: sono gli unici che offrono lavoro facile e immediato. Non solo. Con i barconi arriveranno non soltanto nuovi “soldati” per le bande criminali, ma anche nuovi gruppi eversivi. Come si comporteranno le mafie nostrane? In un primo momento è possibile che useranno i nigeriani come bassa manovalanza per le esecuzioni, i rapimenti e le estorsioni. A chiedere il pizzo, insomma, ci manderanno loro in subappalto.

Come si comporterà lo Stato? Difficile a dirsi. Per ora, sembra troppo allettato dai milioni che la Ue elargisce all’Italia per occuparsi dei migranti. Al posto loro. Quando avremo uno o due milioni di immigrati inoccupati cosa succederà? Nessuno lo dice. Tutti girano la testa. Al momento, ci vien detto, non ci sono allarmi. Al momento, appunto. Il nostro Stato, la nostra cultura, la nostra società è ancora “troppo bene educata”. Siamo cresciuti a pane e diritto civile. In Europa è imposto il “civil law”, a differenza del “common law” dei Paesi anglosassoni. Il Corpus Iuris Civilis, la compilazione commissionata da Giustiniano nel VI secolo d.C, divenne il nostro Diritto civile. Questo, mitigato dalla cultura religiosa cristiana, incentrò sempre più il suo interesse sulla “persona” e i suoi diritti. Nell’Inghilterra medievale si evolse il codice di diritto chiamato poi “common law”, il quale non da priorità alla codificazione della legge dal parte del giudice, diremmo l’interpretazione, bensì all’applicazione della legge in base a sentenze pregresse. Lo “stare decisis”, ovvero il precedente, è il punto cardine di questo sistema giuridico. In soldoni, ed in maniera molto sintetica, il nostro “civil” è garantista nei confronti della persona, mentre il “common” anglosassone è garantista nei confronti della proprietà. Quest’ultimo si sviluppò nel mondo pre-moderno, di matrice protestante, in cui una nuova filosofia e una nuova teologia cominciavano a farla da padroni. Da cui una nuova cultura. Naturalmente, i Paesi che hanno al loro interno l’osservanza del common law sono più preparati a gestire le immigrazioni. Anche se gli immigrati hanno un comportamento nocivo, molto estremo, le cose si mettono subito in chiaro: “hai rubato? Dentro!” I magistrati del common law non stanno a tirarla per il sottile sulle “ragioni per cui tizio ha fatto quello che ha fatto”, ma “cosa ha fatto”.

C’è poco da interpretare, da giustificare, da sottilizzare. Il nostro diritto civile e, per estensione, tutto il diritto europeo (ad eccezione, come detto, dell’Inghilterra) se la cavano bene nel giudicare i propri cittadini, ma non riusciranno, con l’attuale sistema di diritto, a garantire la pace e l’ordine con la mentalità delle nuove masse di immigrati. Non è possibile per questa semplice ragione di base: abbiamo un diritto ipergarantista, che va bene per noi ma non per coloro che sono abituati a reagire con una sciabola in mano. La soluzione non sta nell’armare la polizia di dissuasori ultimo modello, trasformando le nostre città in una polveriera. La soluzione sta nel guardare i problemi che passano quei Paesi che si sono trovati nelle condizioni in cui ci troviamo noi oggi. Io credo che i nostri nipoti, fra trenta o quarant’anni, si guarderanno indietro e, fissandoci, ci chiederanno “ma come avete potuto?”. Non potremmo dire che “non sapevamo” perché ci saranno buonissime carte a contraddirci. Diremo che “eravamo buoni”. Loro ci risponderanno molto male.

Tuttavia, non è tutto perduto. Le ultime sacche di resistenza culturale possono ancora capire che questa è una battaglia che non si può vincere con l’idea, piuttosto, mediando la giustizia con la pietà. Si capisca, innanzitutto, che una buona parte della politica istituzionale avvantaggia l’attuale sistema immigrazionista non perché sono buoni. Si tratta di affari, nient’altro. Solo affari. È tempo che gli italiani, anche loro, si facciano gli affari propri, prima che le nostre città vengano seppellite in un pugno di polvere.


di Danilo Campanella