Mara e Barbara : le “vecchie” zie della domenica

“La sfida degli ascolti”, “la sfida della domenica”, “la sfida delle signore della tv”... ma nessuno ha parlato della sfida che è stata per noi telespettatori e, disgraziatamente, addetti ai lavori, guardare le puntate di esordio di Domenica In sui Rai Uno e Domenica live su Canale Cinque: la sfida alla sopravvivenza cerebrale.

Immaginiamola cattiva questa sfida, ho pensato, prima di rassegnarmi alla visione, ma alla fine non ce l’ho fatta: essere cattiva in questo caso è impossibile.

Essere cattivi con quei quasi due milioni e mezzo di spettatori ( in Italia siamo quasi sessanta, c’è speranza...) che hanno preferito la decima conduzione di Mara Venier e le hanno regalato oltre 16 punti di share - 4 punti in più delle due sciure Parodi dell’anno scorso - sarebbe come sparare sulla croce rossa; essere cattivi con lo sfavillio angelico, paradisiaco, delle luci dello studio - esteticamente superiore - di Barbara D’Urso, che renderebbero bella come un’apparizione mistica anche la ragana della marana del Tufello, ugualmente non è fattibile.

La zia Mara da una parte, genuina come la porchetta di Ariccia, umana all’inverosimile e allo stesso tempo elegante, spontanea e affascinante come in ogni ritorno di fiamma che si rispetti, è oggettivamente incriticabile dal punto di vista della professionalità assoluta, all’evidenza bisogna arrendersi. Bisognerebbe invece preoccuparsi e seriamente del fatto che in trent’anni non si sia trovata o, peggio, non si sia voluta trovare altra conduttrice altrettanto brava, preparata e unanimemente simpatica che possa gestire il circo pop della domenica televisiva.

Dall’altra parte, Barbarona vestita in falpalà come una bambola di Orietta Berti, circondata dai soliti ospiti che fanno parte del vivaio Mediaset e che presumibilmente e volutamente si rivolgono ad un target di spettatori Mediaset, non porta niente di nuovo ma nemmeno propone qualcosa di così terribilmente brutto. Quanto basta però per essere meno accattivante della prima rete, in termini di ascolti quantomeno, proprio per colpa di una sorta di continuum spazio-temporale con altri programmi già fin troppo noti, in un cross-editing già visto senza elementi di novità. Ma si rifaranno, ci scommettiamo.

La riflessione in verità andrebbe incentrata sul fatto che, da una parte e dall’altra, a farla da padrona è stata la famiglia Carrisi, che sia di qua che di là imperversava allegramente, in un leggiadro ping pong velenifero tra Romina e Loredana che fa sospettare che si fossero messi d’accordo per dividersi un po’ gli ascolti sullo stesso tema, seppur trattato in maniera totalmente diversa nei due programmi.

Rimarrà infatti indelebile - e traumatica - nella mia psiche, la docu-fiction di Domenica Live sul primo appuntamento della Lecciso con Al Bano: roba che non si vede tutti i giorni... per grazia divina. Ma, d’altronde, abbiamo premesso che trasmettono in diretta dal Paradiso, mica da Cologno Monzese, e quindi ci sta.

La verità è che domenica scorsa abbiamo assistito, saltellando di qua e di là grazie al sempre salvifico telecomando, al ritorno del gioco da casa, a una diretta dal Bronx - sempre targata Carrisi, ma junior - che ci ha mostrato la Little Italy d’oltreoceano (anche quella immutata nei decenni), a scene da un pre-matrimonio, all’ennesima Manuela Villa figlia di Claudio Villa (che l’abbiamo capito, ci è chiaro, grazie), all’immarcescibile ciuffo di Cristiano Malgioglio, all’intramontabile pianobar, alla criminologa prezzemolina a contratto, all’avvocato, al vecchio saggio in collegamento (Feltri), a Quelli della notte revisited (Frassica), al politico (Salvini), al defunto compianto e amatissimo da rimembrare (Frizzi), ai ringraziamenti ai dirigenti e agli in bocca al lupo stile lancio di coltelli ai competitors vari (Giletti, Clerici)… ma chiamiamoli “amici veri”.

Insomma: ci piaccia o no, l’Italia è sempre la stessa anche in televisione, incartata nei suoi clichè, ritorta sui suoi personaggi che hanno trovato l’autore, sempre gli stessi, quasi prigionieri di un genere, di un modo di essere, di un modo di fare intrattenimento domenicale indirizzato alle famiglie del sud e che tenta disperatamente di acchiappare quelle del nord con qualche servizio più giornalistico. Ci vorrebbe più coraggio, ci vorrebbero più calzini glitterati come quelli della Venier per riportare la domenica tv ai fasti del passato, non basta l’atmosfera da prima serata e nemmeno l’orchestra trionfale alla Pippo Baudo.

Ma oggi probabilmente ci si accontenta di quello che c’è, si nota il calzino fashionista o il nuovo taglio di capelli dell’ospite e al pubblico, quel pubblico, basta. Lo specchio dell’Italia può cambiare la formula, più o meno vivace, più o meno incentrata sull’attualità - e sulla disgrazia in particolare - sul vip meteoritico del “trono” o del Grande Fratello o su quello granitico della musica leggera anni sessanta, ma è ancora questa qua: quella che finisce a tarallucci e vino. O meglio: a torta e candeline, le stesse che un giorno soffierà la D’Urso, la quale, appunto, ha dichiarato che condurrà la stessa trasmissione fino a novant’anni.

Che visto l’andazzo generale e la totale assenza di ricambio generazionale è altamente probabile. Concludendo, la trasmissione della domenica è sempre la stessa, lo spettatore domenicale è sempre lo stesso, il conduttore è sempre lo stesso, il concetto è sempre lo stesso: quello nazionalpopolare della canzoncina finale, che ancora nel 2018 ci dobbiamo sorbire, “che ti porta il buon umore con la pioggia e con il sole”, cari amori delle zie.

Aggiornato il 21 settembre 2018 alle ore 11:52