Un’Italia “troppo apodittica” a La7

“Faccio l’artista, mi sveglio per quello la mattina”. Così Dino Giarrusso, ospite domenica scorsa da Massimo Giletti a “Non è l’Arena”. L’artista, attivista nel Movimento Cinque Stelle, attualmente nello staff del sottosegretario all’Istruzione dopo non essere riuscito a farsi eleggere in Parlamento, ne ha dette tante l’altra sera, questa è solo una delle frasi ad effetto della (ex) iena che ha anche voluto spiegare ai telespettatori, come un novello professor Manzi, l’etimologia della parola “privilegio”.

Quello stesso privilegio che ha giustamente acquisito anche lui per stare lì a parlare di massimi sistemi legislativi, pensionistici, retributivi e contributi, con paroloni come “autodichia”, purtroppo non sapendoli utilizzare correttamente. Ma d’altronde bisogna perdonarlo, fa l’artista, si sveglia la mattina per quello, salvo poi andare a fare il politologo, o anche il politico, il giuslavorista e il letterato in televisione. Il bello della democrazia.

Regista, aiuto regista, sceneggiatore, giornalista, ora anche esimio linguista e politico navigato, Giarrusso discute leggiadro con l’avvocato Maurizio Paniz e l’ex parlamentare Giuseppe Gargani e, al primo attacco frontale al Movimento 5 Stelle replica aprendo l’ombrello della demagogia. Sempre quella degli altri, ovviamente. Gargani, peraltro laureato in giurisprudenza, deputato alla Camera dal 1972 al 1994, sottosegretario al ministero della Giustizia dal 1979 al 1984, europarlamentare e molto altro. Ma Giarrusso non teme di mettersi allo stesso livello di conoscenza del diritto dei due e nemmeno Giletti. Impavidi.

Si parlava per l’appunto di vitalizi, che sembrano essere diventati, nella mente dell’italiano medio, il più grande flagello dell’economia nazionale dopo le accise sulla benzina della guerra di Abissinia. Avoglia (scritto per lessicalizzazione, lo dice l’Accademia della Crusca, non io) a spolmonarsi per spiegare alla gente, al conduttore e agli “ospiti contro”, la differenza tra diritto acquisito e diritto affievolito, avoglia a far capire che se ci sono 500 e più ricorsi di ex parlamentari è perché ci sono sentenze - che sono cose cogenti, non bruscolini, tanto per usare paroloni- che hanno dato e danno l’indirizzo alla vita economica della nazione.

Ma Giarrusso porta ad esempio una posizione giuridica contraria, facendo assurgere, citandolo come un deus ex machina, il vicedirettore dell’Unicusano Giovanni D’Alessandro, semi sconosciuto laddove non totalmente sconosciuto giurista tra milioni, a paria dei giudici costituzionali, della Corte europea e di qualche altra decina di magistrati italiani che già hanno affrontato negli decenni centinaia di interminabili processi in tema di diritti pensionistici acquisiti. Un momento di uguaglianza tra saperi impareggiabile che traspare dallo sguardo allucinato del povero Paniz.

A tutto questo aggiungiamo un’elegante Myrta Merlino in versione pasionaria proletaria che ha perso un’ottima occasione per non dire una stupidaggine, lei che è preparata e intelligente, ci ha lasciati di sale: siccome di porcate sulla pelle della gente ne sono state fatte altre in passato, per legge (Fornero), una più una meno che vuoi che sia. O perlomeno questo era il senso del suo intervento in difesa del taglio dei vitalizi. Però a lei Massimo Giletti non chiede di aiutare un pensionato a fine mese come a Paniz.

Sfugge anche qui la differenza di fonte normativa tra una delibera della Presidenza della Camera e una legge, delibera che presumibilmente verrà annullata nelle apposite sedi perché illegittima, illegale e incostituzionale. Tutte sottigliezze senza alcun senso - come parlare del bosone di Higgs a un quattrenne - per Giarrusso, che etichetta la spiegazione giuridica di Paniz come “troppo apodittica”.

Troppo apodittica, che altro non significa che troppo ovvia, pienamente evidente, inconfutabile. Come lo è il diritto definitivamente interpretato, come lo sono le sentenze in ultimo grado invocate da Paniz. Pertanto, usando il termine a sproposito, l’artista ha involontariamente dato ragione, logica e retorica, al suo oppositore. Sottigliezza che sarà passata inosservata a milioni di spettatori e che invece qui vorremmo sottolineare.

Dopo questo pout pourrì di aberrazioni del diritto e delle sue sottostanti, nell’ordine, filosofia, ratio nonché conoscenza, e dopo l’omicidio grillino in diretta televisiva dei lemmi della lingua italiana, ci è stato servito il processo mediatico ad Asia Argento, rigorosamente in contumacia, con un imberbe attoricchio accompagnato da un avvocato incartato nel suo completo come un’oca in porchetta (entrambi con acconciature improponibili anche a Cartoonia) che ci hanno raccontato la loro versione della presunta molestia subita. Senza alcun contraddittorio.

Ah, sì, c’era anche una bella intervista a Matteo Salvini, che per fortuna ha illuminato lo schermo con concetti sensati, ovvero chiedere giustizia e non vendetta per i morti del ponte Morandi. È questa la nuova linea editoriale de La7? Un tribunale delle chiacchiere in salsa lessicale? Non bisogna più fare informazione in termini di linearità razionale, sapienziale, culturale delle cose del mondo? Bisogna solamente fare spettacolo al massacro per il popolino di Masaniello che gode nel mettere alla gogna i ricchi e i potenti?

Una puntata all’insegna del dagli all’untore, come scriveva Alessandro Manzoni, altro che scoop internazionali e povere nonnine con la minima. Se così fosse, La7 si starebbe lentamente trasformando in un’emittente un po’ troppo apodittica, immagine di un’Italia un po’ troppo apodittica nella sua triste ignoranza e invidia sociale da portare all’esasperazione invece che da curare. Inutile studiare diritto, economia, dialettica, retorica, storia, filosofia e, viste le ultime uscite, anche geografia: meglio fare gli artisti e svegliarsi per quello la mattina ma nel frattempo giocare a fare politica, è apodittico.

Aggiornato il 26 settembre 2018 alle ore 12:03