Una conferenza in nome dei diritti umani

venerdì 5 ottobre 2018


Quando si parla di diritti umani possono essere affrontati numerosi argomenti, tutti di stringente attualità e connessi alle principali aree di crisi. La condizione dei bambini, delle donne e del lavoro, le libertà politiche e civili: da questo punto di vista il Medio Oriente presenta diversi casi di scuola, sebbene su alcuni di questi la comunità internazionale tende a chiudere gli occhi o a voltare la testa dall’altra parte. Nel convegno promosso dal Centro Studi “Averroè” che si è svolto mercoledì 3 ottobre, nella sala “Caduti di Nassiriya” del Senato della Repubblica, con la partecipazione della Senatrice Isabella Rauti, abbiamo invece esaminato quelle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani su cui soprattutto le Nazioni Unite e i governi occidentali continuano a soprassedere.

Nello Yemen, le milizie sciite Houthi finanziate dall’Iran sono accusate proprio dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Risoluzione 2216) di non rispettare il diritto internazionale umanitario, di utilizzare illegalmente mine antiuomo e persino di saccheggiare gli aiuti umanitari diretti a una popolazione ormai sfinita dalla crisi che gli stessi Houthi hanno innescato occupando parte del paese, inclusa la capitale Sana’a. Eppure, l’ultimo rapporto del Consiglio per i Diritti Umani ha adottato un’ambigua equidistanza, mancando di riconoscere che la causa scatenante del conflitto armato tra gli Houthi e il governo legittimo risiede nella condotta aggressiva dei primi e dei loro sponsor iraniani.

In Qatar, decine di migliaia di migranti asiatici, africani e mediorientali continuano a lavorare nella costruzione degli stadi per i campionati mondiali di calcio 2022 in condizioni di assoluta schiavitù: ripetuti incidenti e morti nei cantieri, condizioni abitative e igieniche insopportabili, passaporti sequestrati, salari non pagati. Tutto già documentato e denunciato da Amnesty International, Human Rights Watch e da varie agenzie delle Nazioni Unite. Eppure la giostra ultramiliardaria del calcio messa in moto dalla FIFA - che ha più stati membri dell’Onu - non si ferma neppure di fronte alla schiavitù, dimenticando che i diritti umani non sono uno sport.



Sempre dal Qatar giungono altre notizie inquietanti. Gli oppositori al regime di Hamad e Tamim Al Thani da oltre vent’anni vengono sottoposti a pesanti discriminazioni, arresti illegali e torture, confische di proprietà ed espulsioni. La tribù degli Al Ghofran è stata quella maggiormente colpita e i suoi membri in esilio all’estero stanno disperatamente cercando di convincere il Consiglio per i Diritti Umani a prendere severi provvedimenti contro il regime di Doha, ma invano. Ancor meno supporto la tribù Al Ghofran riceverebbe dai paesi Europei, che con il regime del clan Al Thani continuano a coltivare “eccellenti relazioni politiche ed economiche”, per citare ancora una volta la Farnesina.

I più recenti sviluppi in Iraq dovrebbero essere in cima alle priorità dell’agenda internazionale: le milizie jihadiste sciite, anche queste finanziate dall’Iran, usano il terrore come strumento per stabilire la propria egemonia politica sul paese, in maniera molto simile a quanto fatto precedentemente da Isis. Le conseguenze sui diritti umani sono pesantissime: oppositori arrestati, torturati, messi a tacere o eliminati dalla scena, specie se donne, come accaduto di recente alle attiviste Tara Faris e Souad Al Ali. La donna, con i suoi diritti e libertà, è infatti il peggior nemico dell’estremismo. Il jihad contro le donne delle milizie sciite irachene prende le mosse dalla misoginia tipica del regime khomeinista iraniano. Le Alte rappresentanti, femministe e di sinistra, Federica Mogherini e Michelle Bachelet, restano però sorde al grido di protesta delle donne imprigionate nel famigerato carcere di Evin, nei pressi di Teheran.

Anche nelle prigioni turche è forte il grido di attivisti, giornalisti, oppositori che all’unisono continuano a dire no al regime islamista di Erdogan. L’alternativa al carcere sono il silenzio o le dimissioni da eminenti testate giornalistiche: l’ultima è di Murat Yetkin, che ha lasciato “volontariamente” la direzione del noto quotidiano indipendente Hurriyet, da poco acquistato da un gruppo editoriale organico al sistema di potere del Sultano. L’Europa è consapevole di quanto accade nel Bosforo e dintorni, ma l’indignazione e le richieste di rispettare la libertà di stampa e di opinione non si traducono in provvedimenti concreti che fronteggino in maniera diretta e autorevole la pericolosissima dittatura stabilita da Erdogan. Il quale, anzi, continua a rafforzare la propria posizione di potere assoluto proprio grazie all’Europa, pronta a fornirgli il soccorso economico-finanziario necessario ad affrontare senza troppi scossoni interni la grave crisi economica nella quale lo stesso Erdogan ha fatto precipitare la Turchia.

Iran, Qatar, Turchia: le principali forze dell’estremismo contemporaneo unite dall’ideologia della Fratellanza Musulmana. Le donne sono il loro peggior nemico anche in Italia e la conferenza sui diritti umani organizzata dal Centro Studi “Averroè” ha visto la presentazione di “Mai più sola”, un nuovo numero verde di assistenza alle donne vittima di violenza, che restano numerose soprattutto in quei contesti fortemente influenzati dal fondamentalismo della Fratellanza. Il Senato della Repubblica ha raccolto il messaggio di “Averroè” ed è ora di trasformarlo in provvedimenti concreti, come il divieto dell’uso del burqa nei luoghi pubblici: il tentativo di approvare una legge sta tornando in auge e le istituzioni tutte, contrariamente al passato, sono chiamate a facilitare la sua entrata in vigore. Allo stesso modo, le istituzioni sono a chiamate a rafforzare le misure di contrasto ai finanziamenti che da Stati canaglia come Qatar e Iran continuano ad arrivare a moschee illegali, pseudo centri culturali e imam fai-da-te, principale veicolo di estremismo e radicalizzazione in Italia come nel resto d’Europa. In nome dei diritti umani.


di Souad Sbai