La giustizia tra entusiasmo e malinconia

Il caso di Stefano Cucchi ha scosso le coscienze di tutti e imposto una riflessione sul nostro stato di diritto. Qualora ve ne fosse ancora bisogno. Siamo di fronte a un vero e proprio sopruso, un delitto che va oltre il caso di cronaca nera italiana.

Ho voluto scriverne oggi, perché Stefano morì proprio il 22 ottobre di nove anni fa. Esattamente nove anni fa. La domanda retorica che mi sono posta in questi giorni è stata la seguente: coloro che sono sotto la custodia cautelare, come Stefano Cucchi in quei terribili giorni del 2009, cioè mentre era custodito dallo Stato, possono subire atti di violenza fisica?

La riapertura di questo caso ha rappresentato per me una inesauribile fonte di ricerca e d’ispirazione, poiché affonda le sue ragioni sullo stato di diritto, anzi: diventa anche – addirittura – materia di filosofia del diritto e ci spinge a domandarci che cosa sia morale o immorale. Al di là delle spese di “cittadinanza”.

Tuttavia, il caso Cucchi riporta di grande attualità, all’interno del dibattito sul tema della giustizia, la discussione sull’idea di giustizia, un po' come fece qualche anno fa anche il Premio Nobel Amartya Sen con un suo importante libro dal titolo omonimo: “L’idea di Giustizia”. Da leggere.

La questione, quindi, va vista anche come una inevitabile occasione per parlare di Giustizia giusta e per tornare ai fondamentali del diritto, grazie alla filosofia del diritto. In tal senso, la giustizia può essere considerata come la volontà di riconoscere e rispettare il diritto di ognuno, mediante la legge, ma essa può anche rappresentare il potere pubblico di realizzare il diritto con provvedimenti aventi forza esecutiva ed amministrativa. Se vogliamo riprendere il bandolo della matassa, in mezzo all’attuale groviglio del nostro sistema della giustizia, allora è divenuto necessario ripartire dalle basi, dalle fondamenta.

È di fondamentale importanza, di conseguenza, ricominciare dalla filosofia del diritto per recuperare il senso del diritto e lo stato di diritto, perché essi rappresentano le basi per capire. Tra i maggiori filosofi, Platone è colui che ci offre – sul tema – la metafora più affascinante, quella solare. Infatti, per comprendere pienamente il vero significato tra bene, giustizia e legge, Platone ricorre alla metafora del Sole. Il pilastro centrale della filosofia dell’antico pensatore greco è, appunto, il senso di giustizia. Infatti, la giustizia e l’idea del bene, per Platone, sono inseparabili. Ma noi possiamo, tramite Platone, rispondere alla domanda che cos’è il bene? No, egli si serve di un’efficace metafora solare proprio per tale motivo: il bene sta al mondo delle idee come il Sole sta a quello sensibile, secondo il filosofo il Sole è la ragione di essere mentre nel mondo sensibile è la ragione di conoscere.

Questa filosofia platonica è paragonata al bene.

La domanda che si pone, allora, è: il bene e la giustizia sono due facce delle stessa medaglia? Sebbene sembrerebbe incline a rispondere (sì) alla medesima domanda, dobbiamo rivalutare la nostra affermazione e comprendere se ogni cittadino vive perennemente nel modo “giusto” senza danneggiare l’altro e dare al medesimo ciò che nondimeno gli spetti. Pertanto, vivere secondo questa affermazione significherebbe che la popolazione d’oggi è immorale e trasgredisce le norme che regolano il nostro ordinamento politico. La libertà, in altre parole, non deve mai essere a danno dell’altro. Chiunque sarebbe disposto a manifestare contro l’ingiustizia, ma se questo atto di “coraggio” implicasse di affrontare una “posizione scomoda”, saremmo ancora disposti a proferire o a non proferire parola per difendere tale principio? Per rispondere alla domanda da me enunciata precedentemente, aggiungerei che non si può giudicare senza conoscere se la giustizia, intesa come il compiere un’azione, sia morale o immorale, poiché colui che giudica – in tal casi – non è forte come possiamo immaginare, bensì il contrario. Perché, per raggiungere il suo scopo ovvero quello di emergere, deve elargire veleno e giustizia. Ma, per far sì che l’individuo elargisca, egli indossa una maschera sia per nascondersi che per mostrarsi come non è, cioè mostrarsi seducente, convincente e vincente. Essendo invece debole, falso, omertoso, menzognero e perdente.

La realtà che ci circonda deve essere esattamente quella che si vede e niente di più, così che il suo lato falso possa rimanere oscurato per far emergere, invece, le verità e la realtà.

Infine, per concludere con ciò che ritengo sia il vero pilastro di questo testo, bisogna soffermarsi ad osservare la giustizia da due diverse prospettive: la giustizia intesa come entusiasmo, poiché il compito del giurista è – appunto – la passione per il giusto e la ribellione contro ogni sopruso ma, allo stesso tempo, la giustizia è malinconia perché essa interpreta il sentimento poetico del giurista, che si trova costantemente davanti a un dilemma che lo tormenta… e tale tormento è attraversato da un’inevitabile malinconia, la resistenza ad ogni seduzione.

Aggiornato il 23 ottobre 2018 alle ore 12:00