Il polso dell’invidia

A volte tornano. Quando pensavamo di esserci lasciati alle spalle le utopie, gli hippy e quella sciocca cultura egualitaria, ecco che questi fantasmi ritornano con la prepotenza goffa di chi non si rassegna a chiamare le cose con il proprio nome: invidia sociale.

Ci riferiamo alla grande ondata di indignazione che ha pervaso il nostro sciocco Paese nel quale si avverte la prepotente urgenza di soffermarsi su argomenti come l’orologio di Cristiano Ronaldo (valore 2,5 milioni di euro). Secondo il medioman italico, l’orologio di CR7 sarebbe uno schiaffo alla povertà come se il calciatore in questione non guadagnasse cento milioni all’anno potendosi permettere quindi di allocare una cifra modesta (per lui) su un gioiello (che in verità parrebbe di dubbio gusto ma tant’è, sono gusti).

In quale maniera un simile acquisto possa umiliare chi non arriva alla fine del mese è sinceramente un mistero. Ronaldo i suoi introiti li ha ricevuti dal mercato non strappandoli certo a un padre di famiglia che deve pagare l’affitto del monolocale in periferia. A fronte di entrate così copiose – non essendo gli elargitori delle somme in questione dei babbei – gli introiti per i suoi datori di lavoro saranno quantificabili in dieci volte tanto per cui lo stipendio di Cristiano Ronaldo è anche economicamente logico. I giudizi morali da bacchettoni pauperisti vanno derubricati a fuffa compressa impastata con un pizzico di stronzaggine.

Ciò per dire che chi guadagna tanto non è un ladro o un criminale che dovrebbe solo vergognarsi, ma semplicemente un individuo che ha messo un talento sul mercato ricevendo dal mercato una gratificazione proporzionale a ciò che quel talento frutta a chi lo utilizza (al datore di lavoro). Cosa hanno tolto Ronaldo e il suo orologio a chi non arriva alla fine del mese? Mistero. Quando noi straccioni senza grosse doti riusciremo a spillare lauti compensi dal mercato, allora saremo entrati nell’olimpo di coloro che contano. Nel frattempo sarebbe dignitoso che evitassimo di praticare l’invidia e l’odio per coloro che hanno avuto successo inchinandoci di fronte al genio e alla scaltrezza. Ma invece proprio non ci riusciamo visto che non passa giorno senza che qualche graziosa giuggiola sia indirizzata al duo Fedez/Ferragni manco denigrarli fosse lo sport nazionale.

L’ultima in ordine di tempo è la festa di Fedez in piena notte in un Carrefour di Milano: uno spreco di derrate alimentari, un volgare lancio di cibo, uno schiaffo alla misera e via banalizzando. A dirlo è il solito medioman italico, quello che spreca un sacco di cibo ma poi critica Fedez. A noi risulta che Fedez il conto lo abbia pagato e tanto ci deve bastare. Certo inutile dire che Fedez sia rimasto vittima dell’ipocrisia e cioè di quei “comunisti col Rolex” di cui parla nei suoi dischi. Che poi abbia dovuto giustificarsi dicendo che il cibo “sprecato” sarà donato in beneficenza è solo un volersi arrendere agli umori del volgo.

Stesso dicasi per l’acqua di Chiara Ferragni (che ha un costo di otto euro a bottiglia) su cui la parte più cialtrona del Paese si è esercitata nell’arte della meschinità e della denigrazione. Trattasi di una campagna pubblicitaria iniziata un anno fa a tal punto efficace da rendere il prodotto sold out. Chi lo avrà comprato questo prodotto se non parte di quella “società civile” che ha urlato allo scandalo?

Che poi si tratta solo dell’applicazione delle teorie di Philip Kotler, il primo che provò a modellizzare il “marketing dell’assenza” che consiste nel rendere introvabile un prodotto pubblicizzato con largo anticipo al fine di stuzzicare il desiderio del consumatore. Si tratta dell’eterna dicotomia tra bisogni (pochi) e desideri (potenzialmente infiniti) e del fatto che sia necessario agire sui secondi rendendoli bisogni indotti.

Ma probabilmente i critici non lo sanno e magari sono gli stessi che acquistano l’Iphone, le borse di Hermes, il Magnum limited edition o le stesse patatine Pringles non sapendo che si basano sugli stessi principi commerciali e comunicazionali essendo i produttori stati i pionieri della sperimentazione di queste teorie.

Vien quasi da pensare che a noi non dispiaccia l’eccesso, lo spreco o l’ostentazione. A costoro noi non perdoniamo di avercela fatta.

Aggiornato il 25 ottobre 2018 alle ore 17:50