La Cedu appoggia la legge islamica sulla blasfemia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha stabilito che la critica di Maometto, il fondatore dell’Islam, costituisce un incitamento all’odio e pertanto la libertà di espressione non viene tutelata.

Con la sua decisione senza precedenti, la Corte di Strasburgo – che ha giurisdizione su 47 Paesi europei e le cui decisioni sono giuridicamente vincolanti per tutti i 28 Stati membri dell’Unione europea – ha di fatto legittimato un codice in cui la blasfemia contro l’Islam è reato, allo scopo di “preservare la pace religiosa” in Europa.

Il caso riguarda Elisabeth Sabaditsch-Wolff, una donna austriaca che nel 2011 è stata dichiarata colpevole di aver “denigrato gli insegnamenti religiosi” dopo aver tenuto una serie di conferenze sui pericoli dell’Islam fondamentalista.

Il problemi legali della signora Sabaditsch-Wolff sono iniziati nel novembre 2009, quando la donna tenne un seminario in tre parti sull’Islam presso il Bildungsinstitut der Freiheitlichen Partei Österreichs, un istituto politico legato al Partito della libertà austriaco (FPÖ) – che oggi fa parte della coalizione governativa governo austriaca. Un settimanale di sinistra, News, infiltrò un giornalista tra i presenti al seminario affinché registrasse furtivamente i contenuti. In seguito, i legali della rivista consegnarono le trascrizioni alla procura di Vienna come prova dei discorsi di incitamento all’odio contro l’Islam, ai sensi dell’art. 283 del Codice penale austriaco (Strafgesetzbuch, StGB).

Le parole offensive consistevano in un commento estemporaneo espresso dalla signora Sabaditsch-Wolff sul fatto che Maometto era un pedofilo perché aveva sposato sua moglie Aisha quando lei aveva solo 6 o 7 anni. Le reali parole pronunciate dalla signora viennese erano: “Un 56enne e una bambina di 6 anni? Come chiamarlo, se non un caso di pedofilia?”.

In effetti, la maggior parte degli hadith (la raccolta di detti e fatti della vita di Maometto) confermano che Aisha era in età prepuberale quando Maometto la sposò, e aveva solo 9 anni quando il matrimonio fu consumato. Le azioni di Maometto sarebbero oggi illegali in Austria, pertanto i commenti espressi dalla signora Sabaditsch-Wolff erano di fatto, se non politicamente, corretti.

Le accuse formali mosse contro Elisabeth Sabaditsch-Wolff furono archiviate nel settembre 2010 e il suo processo, presieduto da un giudice e senza giuria, ebbe inizio a novembre. Il 15 febbraio 2011, la donna fu ritenuta colpevole di aver “denigrato gli insegnamenti religiosi di una religione legalmente riconosciuta”, ai sensi dell’articolo 188 del Codice penale austriaco.

Il giudice motivò razionalmente che il contatto sessuale avuto da Maometto con Aisha di 9 anni non poteva essere considerato un atto di pedofilia perché il suo matrimonio con Aisha durò fino alla morte del Profeta. Secondo questa linea di pensiero, Maometto non aveva alcun desiderio esclusivo per le minorenni; era anche attratto donne più grandi perché Aisha aveva 18 anni quando Maometto morì.

Il giudice ordinò alla signora Sabaditsch-Wolff di pagare una multa di 480 euro o di scontare una pena alternativa di 60 giorni di reclusione. Inoltre, fu tenuta al pagamento delle spese processuali.

La donna impugnò la sentenza di condanna alla Corte di Apello di Vienna (Oberlandesgericht Wien), ma l’istanza fu rigettata il 20 dicembre 2011. La richiesta di un nuovo processo fu respinta dalla Corte Suprema austriaca l’11 dicembre 2013.

Allora la signora si è rivolta alla Corte europea dei diritti umani, un tribunale sovranazionale istituito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La Cedu esamina le domande relative alle violazioni dei diritti civili e politici sanciti nella Convenzione.

Basandosi sull’art. 10 (libertà di espressione) della Convenzione, la signora Sabaditsch-Wolff si è lamentata del fatto che i tribunali austriaci non esaminarono la sostanza delle sue osservazioni tenuto conto del suo diritto alla libertà di espressione. Se lo avessero fatto, ella ha arguito, non le avrebbero considerate come meri giudizi di valore, ma come giudizi di valore basati sui fatti. Inoltre, le critiche da lei mosse all’Islam si inserivano nel contesto di una discussione obiettiva e vivace che contribuì a promuovere un dibattito pubblico e non avevano lo scopo di diffamare Maometto. La signora Sabaditsch-Wolff ha anche aggiunto che i gruppi religiosi dovevano tollerare anche aspre critiche.

La Cedu ha stabilito che gli stati potrebbero limitare il diritto alla libertà di espressione sancito dall’articolo 10 della Convenzione, se quanto espresso “è suscettibile di incitare all’intolleranza religiosa” e “rischia di turbare la pace religiosa nel loro Paese”. Il Tribunale ha aggiunto: “La Corte ha osservato che i tribunali nazionali hanno ampiamente spiegato il motivo per cui i commenti dell’attrice siano riusciti a destare una giustificata indignazione; in particolare, non erano stati espressi in maniera oggettiva, che contribuisse a promuovere un dibattito di interesse pubblico (ad esempio sui matrimoni precoci), ma potevano essere intesi solo come miranti a dimostrare che Maometto non fosse degno di devozione. La Corte ha convenuto con i tribunali nazionali sul fatto che la signora S. doveva essere consapevole che le sue affermazioni fossero in parte basate su fatti non veritieri e suscettibili di destare indignazione negli altri. I tribunali nazionali hanno rilevato che la signora S. aveva tacciato soggettivamente Maometto di pedofilia, come suo orientamento sessuale generale, e che non era riuscita a fornire informazioni in modo neutrale alla sua platea in merito al contesto storico, il che di conseguenza non ha consentito un serio dibattito su tale questione. Pertanto, la Corte ha ritenuto che non vi fosse motivo di discostarsi da quanto sentenziato dai tribunali nazionali in merito alle affermazioni contestate come giudizi di valore considerati tali in base a un’analisi dettagliata dei commenti espressi. La Corte ha constatato infine che nel caso in esame i tribunali nazionali hanno bilanciato con attenzione il diritto dell’attrice alla libertà di espressione con il diritto degli altri di tutelare i sentimenti religiosi e mantenere la pace religiosa nella società austriaca. La Corte ha inoltre stabilito che anche in una vivace discussione era incompatibile con l’articolo 10 della Convenzione porre affermazioni incriminanti nell’involucro di una espressione di opinioni altrimenti accettabili e affermare che questo rendeva accettabile quelle affermazioni che superavano i limiti ammissibili di libertà di espressione. Infine, poiché la signora S. è stata condannata a pagare un’ammenda moderata, che si collocava nella parte inferiore del novero delle pene previste dalla legge, la sanzione penale non poteva essere considerata sproporzionata. In queste circostanze, e tenuto conto del fatto che la signora S. ha fatto diverse affermazioni incriminanti, la Corte ha ritenuto che i tribunali austriaci non hanno superato l’ampio margine di discrezionalità nel caso in esame quando hanno ritenuto colpevole la signora S. di denigrare le dottrine religiose. Complessivamente, non c’è stata alcuna violazione dell’articolo 10”.

La sentenza stabilisce in pratica un pericoloso precedente giuridico che autorizza i Paesi europei a ridurre il diritto alla libertà di espressione, se quanto espresso è considerato offensivo per i musulmani e costituisce quindi una minaccia per la pace religiosa. Quanto deciso dalla Cedu sarà accolto con favore dall’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oci), un blocco di 57 Paesi musulmani che da tempo fa pressioni sull’Unione europea affinché questa imponga dei limiti alla libertà di espressione quando si muovono critiche all’Islam.

L’Oci si adopera affinché le democrazie occidentali diano attuazione alla Risoluzione 16/18 del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc), che invita tutti i Paesi a combattere “l’intolleranza, gli stereotipi negativi e la stigmatizzazione (...) basati sulla religione o sul credo”.

La Risoluzione 16/18, che è stata approvata il 24 marzo 2011 a Ginevra, sede dell’Unhrc, è ampiamente considerata come un significativo passo avanti negli sforzi profusi dall’Organizzazione per la cooperazione islamica per promuovere il concetto giuridico internazionale di diffamazione dell’Islam.

L’ex segretario generale dell’Oci, Ekmeleddin Ihsanoglu, ha salutato la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che a suo dire “dimostra che la mancanza di rispetto, le offese e le detestabili inimicizie non hanno nulla a che fare con la libertà di espressione o con i diritti umani”. E Ihsanoglu ha aggiunto: “La lotta contro l’islamofobia e le opinioni che esprimiamo da anni sono state accolte e sancite dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Questa sentenza è incoraggiante in tutti i suoi aspetti”.

In una dichiarazione, Elisabeth Sabaditsch-Wolff ha criticato la sentenza, ma non ha abbandonato la speranza che i cittadini europei aprano gli occhi di fronte alle minacce incombenti sulla libertà di espressione: “Giovedì 25 ottobre, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la mia condanna emessa da una tribunale austriaco per aver parlato del matrimonio fra il Profeta Maometto e una bambina di 6 anni, Aisha, non ha violato i miei diritti di libertà di espressione. Non mi è stata riservata la cortesia di essere messa al corrente di questa sentenza. Come molti altri, ho dovuto leggerla sui media. La Cedu ha riscontrato che non vi era stata alcuna violazione dell’articolo 10 (libertà di espressione) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e che il diritto di espressione doveva essere bilanciato con i diritti altrui di avere tutelati i propri sentimenti religiosi e rispondeva al legittimo obiettivo di preservare la pace religiosa in Austria. In altre parole, il mio diritto di esprimermi liberamente è meno importante della tutela dei sentimenti religiosi altrui. Questo dovrebbe far scattare un campanello d’allarme per i miei concittadini in tutto il continente. Dovremmo tutti essere assai preoccupati del fatto che i diritti dei musulmani residenti in Europa a non essere offesi siano maggiori dei miei diritti, di donna cristiana e cittadina europea, di esprimermi liberamente. Sono fiera di essere la donna che ha dato questo allarme. Sono anche ottimista. Da quando ho iniziato a tenere seminari in Austria, nel 2009, abbiamo fatto molta strada. Dieci anni fa, la stampa mi etichettava come una ‘confusa allarmista’ e sono stata paragonata a Osama bin Laden. Ora, si parla di Islam in ogni ambito della vita e la gente sta prendendo coscienza della realtà di una cultura così diversa dalla nostra. La minaccia culturale e politica posta dall’Islam alle società occidentali è ora ampiamente riconosciuta e discussa. È giusto dire che la società europea e il mondo politico hanno avuto una illuminazione poiché sono più consapevoli che mai della necessità di difendere la nostra cultura giudaico-cristiana. Credo che i miei seminari del 2009 e il lavoro successivo abbiano contribuito a opporre una forte resistenza a una cultura islamica che è così in disaccordo con la nostra. E noto con interesse che solo una frase in un seminario di dodici ore sull’Islam è stata considerata un’offesa da perseguire. Immagino che il contenuto rimanente sia ora ufficialmente sanzionato dai nostri esperti dell’establishment. Per me è chiaro che la sensibilizzazione e il dibattito sull’Islam possono avere un impatto fondamentale e di vasta portata, anche se il nostro stato o le autorità sovranazionali cercano di soffocarli o di metterli a tacere per rabbonire una cultura così estranea alla nostra. Questa lotta continua. La mia voce non è e non può essere messa a tacere”.

(*) Gatestone Institute

Traduzione a cura di Angelita La Spada

Aggiornato il 06 novembre 2018 alle ore 12:56