Medico e pazienti, l’intervista a Zampetti

Si avvicina venerdì 23 novembre e se le previsioni non meteorologiche si avvereranno sarà un venerdì nero, ma di un nero piceo per la sanità pubblica del nostro Paese. È annunciato lo sciopero generale indetto dai medici. Le motivazioni sono note, a distanza di ormai quasi un decennio dall’ultimo contratto. E altrettanto noti sono gli slogan usati per pubblicizzare e far comprendere ai cittadini le motivazioni stesse e per averli finalmente dalla loro parte della “barricata”. E sulla nuova ed efficace modalità comunicativa adottata dai medici il nostro giornale ha già ampiamente dissertato cogliendone non solo il carattere innovativo ma anche la caratteristica easy and smart. Ne parliamo con il dottor Maurizio Zampetti, responsabile della Uoc di Dermatologia della Asl Roma 6 e segretario nazionale aggiunto della Cisl Medici.

Dottor Zampetti, quanto ci piacerebbe che sin dal giorno successivo allo sciopero ogni medico riuscisse a svolgere efficacemente nelle corsie ospedaliere anche una buona attività di comunicatore oltre a quella di terapeuta.

Per fare questo è indubbio che il medico deve prepararsi al ruolo ed è vero che la formazione universitaria in merito è lacunosa. Nella realtà quotidiana ciascun medico mette in campo gli strumenti che la propria sensibilità e la propria specifica e soggettiva esperienza gli consentono, con il conseguente risultato di sensibili difformità nell’approccio al malato e, dunque, con infinite variazioni di situazioni.

Dunque ancora oggi molto resta affidato all’individuo come spesso accade anche in altri ambiti lavorativi.

Di questo noi medici, che siamo però anche cittadini e fruitori di servizi sanitari, abbiamo una sempre maggiore consapevolezza. È evidente che dobbiamo migliorare la nostra capacità di entrare in relazione con l’assistito e questo dobbiamo farlo per raggiungere un obiettivo sicuramente non semplice: imparare a comunicare oltre che curare. E comunicare non solo le doverose informazioni in merito a diagnosi, terapia e prognosi.

Oggi che si parla di integrazione sociosanitaria è importante che la struttura pubblica, attraverso i propri operatori, sia in grado di fornire univoche e dettagliate informazioni per ottenere aiuti di tipo sociale, mettendo a conoscenza dell’ammalato e dei familiari le diversificate opportunità presenti nel quadro normativo.

Sì, entrare nel sociale vuol dire anche offrire un autorevole supporto conoscitivo su aspetti non secondari quali gli effetti della malattia sulle relazioni interpersonali ed anche sulla vita sessuale che viene spesso ad essere alterata o stravolta nel corso ad esempio di patologie oncologiche. Le persone malate, anche se affette da patologie altamente invalidanti ed a prognosi infausta, sono soggetti che mantengono inalterata la pienezza della disponibilità a poter usufruire dei diritti di cui sono titolari (rispetto della volontà del malato, diritto alla libertà di pensiero, diritto di compiere atti conformi ad opinioni scientificamente validate).

E allora Zampetti, dopo un venerdì nero, dopo la solidarietà ad una categoria professionale che ha un ruolo insostituibile, ci piacerebbe svegliarci il giorno dopo sapendo che la categoria medica ha finalmente fatto proprio il concetto di “umanizzazione”.

Io ritengo che la categoria medica abbia compreso che nei momenti di comunicazione della diagnosi e della prognosi la persona malata è spesso in una fase di autentica confusione e che occorre dimostrare una profonda e sincera comprensione.

Zampetti, credo che lei sia consapevole come medico e sindacalista che noi cittadini non abbiamo gli strumenti individuali per giudicare la bontà del singolo atto medico.

Personalmente sono convinto che l’implementazione dell’uso delle buone maniere e l’utilizzo di espressioni e linguaggio semplice, tenendo conto dei diversi livelli di comprensione e di preparazione culturale dei singoli, quasi certamente potrebbe ridurre alcune diffidenze dei cittadini nei nostri confronti. Perché i cittadini, anche se distratti dallo storico vizio di lamentarsi del nostro Servizio sanitario nazionale, sanno molto bene che tra noi medici ci sono autentici grandissimi professionisti ed autentici eroi nascosti.

(*) In memoria del dottor Giuseppe Liotta, medico e pediatra, che in Sicilia ha sacrificato la propria vita pensando unicamente al dovere di salvaguardare quella altrui.

Aggiornato il 12 novembre 2018 alle ore 17:54