Non basta la parola

Un aforisma, un commento – “I latini, sulla scia di Tito Caio, dicevano che verba volant, scripta manent. Oggi, anche le cose scritte svolazzano nell’aria fra milioni di cinguettii isterici”.

Nessuno ha mai calcolato, né credo sia possibile, quante parole vengono pronunciate o scritte ogni giorno. Probabilmente, anche solo in Italia, si tratta di molti miliardi. Ad ogni modo, ciò che conta è il valore relativo del conteggio, nel senso che la quantità di locuzioni, e quindi di parole, emesse quotidianamente è enormemente più elevata di quella del passato.

In effetti, radio e televisione, telefoni e vari servizi Internet hanno reso la parola la vera protagonista delle relazioni sociali. Per questo, più che di società della conoscenza, si dovrebbe parlare di società della comunicazione. Quest’ultima è una parola neutra, poiché indica unicamente il fatto in sé senza alludere ad altro. Ma poi c’è, appunto, altro, ossia il contenuto linguistico e concettuale dei termini che adottiamo. Sotto questo profilo, possiamo affermare con tranquillità che almeno il novanta per cento delle parole che circolano hanno un significato largamente condiviso anche se, molto spesso, rimane decisamente incerta l’accuratezza della loro base concettuale. Il restante dieci costituisce il paniere, in perenne trasformazione, dei termini tecnici e professionali o, comunque, portatori di significati che richiedono qualche maggiore impegno per essere compresi e impiegati.

Nella realtà quotidiana tuttavia, mass media in testa, parole dei due tipi si mescolano continuamente ospitando, per di più, un crescente tasso di termini non italiani, soprattutto di lingua inglese. Il risultato è una caotica congerie di espressioni che, si tratti di argomenti banali o di temi rilevanti come quelli politici o economici, giuridici o naturalistici, finiscono per costituire il contesto nel quale si formano e si cambiano le opinioni.

La quantità di messaggi che ogni giorno vengono diffusi non più solo dai giornali stampati, dalla radio o dalla televisione ma anche dalle affollate reti telematiche, ha una conseguenza immediata: la rapidissima obsolescenza dell’informazione veicolata. Il tale ha detto che, ma, poi, lo nega; talaltro fa notare che, ma poi viene smentito da qualcun altro; secondo gli uni le cose starebbero così ma secondo altri stanno diversamente. Il tutto, si badi bene, non in un dibattito ordinato che avvenga in un solo luogo, bensì attraverso una miriade di canali che, giocoforza, si escludono l’uno con l’altro, per cui affermazioni del tipo “l’ho sentito da…”, “l’ho letto in…”, “l’ha detto il…” si susseguono freneticamente con il solo esito di creare una costante incertezza. Se, poi, si tratta di cose che includono numeri e statistiche, l’incertezza diviene autentico caos.

Sotto il profilo sociologico, è esattamente in questo contesto che nascono le dicerie, ossia verità stereotipate e condivise anche se infondate, e caratterizzate da una forte presa motivazionale, vera risorsa per qualsiasi politicante. Le dicerie assomigliano molto a quelle che, con una ormai ricorrente disinvoltura, vengono definite come ‘percezioni’ pubbliche da porsi seriamente al centro di analisi intellettuale o politica come fossero più importanti della realtà. Come dire che, ai tempi della peste a Milano, la ‘percezione’ pubblica in fatto di ‘untori’ – cioè di una parola senza corrispettivo reale - avrebbe dovuto essere tenuta in seria considerazione dalle autorità.

Non stupisce che anche oggi, sul terreno politico ma non solo, da un lato le idee lascino il posto alle sole parole, spesso a vere e proprie “parole d’ordine” e, dall’altro, riescano a farsi largo personaggi che, come si dice, le sparano grosse, fra insulti e spacconate, proposte irrealizzabili ma che suonano bene, accuse gratuite ma che solleticano il palato poco fine di troppa gente.

Nessuno ha mai definito compiutamente cosa sia il populismo ma indubbiamente la parola è il suo strumento principe e, nei nostri giorni, la sua libertà è molto più apprezzata rispetto alla libertà di pensiero. Dante scriveva “Molti han giustizia in cuor, ma tardi scocca, per non venir senza consiglio all’arco”. Già, ma il ‘consiglio’, cioè la riflessione, di per sé, non garantisce successo. Tanto meno in fatto di like.

Aggiornato il 16 novembre 2018 alle ore 18:31