Caso Orlandi, ancora senza risposte dopo 35 anni

Tanti sono gli anni passati da quel 22 giugno 1983 quando sparì nel nulla Emanuela Orlandi, la figlia quindicenne di un dipendente del Vaticano. Anni di indagini, di illazioni, depistaggi, che hanno portato ad una altalena di speranze e delusioni. L’ultima speranza data dal ritrovamento a fine ottobre di alcune ossa in una depandance della Nunziatura Apostolica a Roma, è naufragata con le prime risultanze degli esami sui resti che datano le ossa a prima del 1964 e le attribuiscono ad una persona di sesso maschile. Quello di Emanuela Orlandi è uno dei grandi misteri d’Italia. La famiglia non si è mai arresa.

“È un sacrosanto diritto avere verità e giustizia, non ci rinunceremo mai”, aveva detto all’Ansa, in occasione dell’ultimo anniversario della scomparsa, il fratello Pietro che, dopo l’archiviazione delle indagini da parte della Procura di Roma, era tornato a chiedere giustizia direttamente al Tribunale Vaticano, presentando una denuncia di scomparsa alla Gendarmeria e del Promotore di Giustizia. La famiglia Orlandi l’aveva presentata per la prima volta un anno fa, lo scorso novembre. Il fascicolo è stato aperto “ma da allora non è stato fatto niente, non è stato interrogato nessuno”, ha denunciato più volte l’avvocato Laura Sgrò, legale di Pietro Orlandi. Che invano ha anche chiesto che venisse sentito il boss mafioso Pippo Calò, oggi 87enne, attualmente detenuto al 41 bis nel carcere di Opera. All’epoca dei fatti, nel 1983, era a Roma, era un personaggio a conoscenza “di quello che succedeva”, collegato alla banda della Magliana, ritenuta coinvolta nella scomparsa della ragazza. Emanuela Orlandi, che oggi avrebbe cinquant’anni, scompare verso le 19 del 22 giugno 1983, dopo essere uscita da una scuola di musica. La ragazza è la figlia quindicenne di un messo della prefettura della Casa pontificia ed è cittadina del Vaticano.

A maggio era già scomparsa un’altra ragazza romana, Mirella Gregori, coetanea di Emanuela, e i due casi vengono quasi subito collegati. In questi termini - come di “una stessa cosa” - ne parla Ali Agca, l’attentatore del Papa, ma non sono mai emersi elementi concreti che avvalorassero questa pista. Mirella Gregori, figlia dei titolari di un bar di via Volturno, a Roma, studentessa, non conosceva Emanuela Orlandi, né le due ragazze avevano frequentazioni in comune. Mirella scomparve dopo aver detto alla madre che “aveva un appuntamento” presso il monumento al bersagliere di Porta Pia con un vecchio compagno di classe, che peraltro quel pomeriggio era impegnato altrove. Da quel momento la famiglia non ha più avuto notizie della ragazza. Tornando al caso di Emanuela, quella che sembrava la comune scomparsa di una adolescente si trasforma in un ‘giallo’ internazionale che coinvolge in pieno la Santa Sede. Il presunto rapimento finisce infatti per intrecciarsi anche con l’attentato di Agca contro Wojtyla. Il Papa interviene con diversi appelli. La presenza di Emanuela Orlandi, negli anni, è poi segnalata in diverse località ma le rivelazioni non risultano mai attendibili. Senza elementi, la prima inchiesta viene chiusa nel luglio 1997. Poi la banda della Magliana, che spesso era stata tirata in ballo nella vicenda, rientra in primo piano a giugno 2008 con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna di Enrico De Pedis, uno dei capi della banda. Emanuela Orlandi, secondo la Minardi, sarebbe stata uccisa dopo essere stata tenuta prigioniera nei sotterranei di un palazzo vicino all’Ospedale San Camillo. Ma neanche su questa pista emergono prove concrete.

Nulla di fatto neanche dopo le analisi svolte sulle ossa rinvenute nella cripta di Sant’Apollinare, a Roma, nella quale era stato seppellito De Pedis. Nel 2016 l’archiviazione dell’inchiesta da parte della Procura di Roma, confermata dalla Cassazione. Poi la denuncia alle magistratura vaticana. Oggi il responso sulle ossa in Nunziatura.

Per la famiglia Orlandi, le ultime notizie arrivate dalla Procura di Roma sul giallo delle ossa trovate in una dependance della Nunziatura, sono solo il tassello di un puzzle a cui manca ancora la parola fine. Un tassello “importante”, come sottolinea il genetista Giorgio Portera, indicato dagli Orlandi come consulente di fiducia, ma non ancora definitivo.

“Sarei contento, ovviamente, di sapere che quelle ossa non sono di Emanuela - dice Pietro Orlandi, il fratello della ragazza, cittadina vaticana, scomparsa il 22 giugno 1983 - perché in caso contrario, questo indicherebbe con certezza la sua morte. Ma da quanto mi risulta questi sono i primi esiti degli esami col metodo del carbonio 14: io vorrei aspettare la fine di queste verifiche e poi vorrei avere il risultato dell’esame genetico con il Dna, che può dare la certezza sulla datazione. E vorrei anche capire da cosa dipende questo spartiacque così netto del 1964”.

Secondo i riscontri emersi, infatti, le ossa sarebbero antecedenti a quella data. Ma soprattutto apparterrebbero a un uomo. Eppure sia Portera, sia Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, si mantengono prudenti.

“Questi primi risultati - osserva Portera, che è responsabile del laboratorio di Genetica Forense della Fondazione Filarete dell’Università di Milano - sono sicuramente interessanti, ma aspettiamo gli esiti definitivi e la possibilità di poter accedere ai dati tecnici. Probabilmente - aggiunge - saranno necessari ulteriori approfondimenti su altre ossa disponibili, per essere certi del numero e del genere, maschile o femminile, dei soggetti di cui sono stati trovati i resti”.

Parole circostanziate e allo stesso tempo improntate a una certa prudenza sui risultati, quasi a indicare che è ancora prematuro passare alle conclusioni.

“Attendiamo i risultati finali - afferma l’avvocato Sgrò - che sottoporremo immediatamente a Portera, in cui riponiamo la massima fiducia, perché prenda visione della relazione conclusiva e possa dare un suo riscontro su questa base”. Insomma, meglio ragionare carte alla mano una volta che le conclusioni saranno messe nero su bianco. E “in ogni caso, di chiunque siano - fa notare Pietro Orlandi - andrà chiarito perché lì c’erano quelle ossa, ritrovate non a una profondità non di metri, ma pochi centimetri sotto il pavimento della Nunziatura”.

Aggiornato il 23 novembre 2018 alle ore 19:43