Banfi, perché meravigliarsi?

Perché protestate contro Lino Banfi? Perché, d’un tratto e all’improvviso, riscoprite il valore dei titoli di studio? Per quale oscura ragione fate tutto questo?

La ministra Valeria Fedeli, forse, era migliore? Avete dimenticato le sue mirabili frasi vergate a mano o la tempestiva correzione del suo curriculum vitae sul profilo del ministero? E dei ministri del Governo Berlusconi, che migravano a sud per superare l’esame di Stato (così da potersi fregiare del consunto titolo di avvocato), vogliamo parlare?

O devo pensare che ci siamo dimenticati di tutto e, oggi, ci sovviene che il congiuntivo è un modo e non un tempo? Suvvia, siamo seri. Le cose che ci fanno urlare allo scandalo non nascono come i funghi; vengono da lontano. Sono il frutto della decennale campagna di odio contro il merito, la qualità, la selezione. Invece di rivendicare pari opportunità per tutti (e vinca il migliore, nel nostro interesse), si è stravolto il principio di uguaglianza, rendendolo irragionevole (e, quindi, negandolo in radice), per poi chiudere in bellezza al canto di uno vale uno.

Non è vero; anzi: è falso. Uno è uguale a uno, ma non è detto che l’oggetto o la persona numerata valga come quello cui è comparato. L’egualitarismo di massa ha compiuto il suo percorso. Noi contiamo tutto, i voti e le opere d’arte; il denaro e la musica, quando, invece, dovremmo tornare a giudicare la qualità e a dire che essere migliori - laurea o no - non è affatto una colpa.

Sia, dunque, tributato ogni onore a Lino Banfi, che ha saputo così bene interpretare il nostro popolo, al punto di indurre il Governo della Repubblica a conferirgli un incarico che ci consentirà di essere conosciuti per ciò che siamo in tutto il mondo.

Aggiornato il 23 gennaio 2019 alle ore 11:35