Verso l’abolizione dei Codici: una legge per ogni caso clamoroso

Ammetto di avere il torto di essere vissuto troppo a lungo. Ma è in questi ultimi anni e mesi che ne sto vedendo di tutti i colori. E dire che alle soglie della mia giovinezza mi ero illuso, nientemeno, di poter vivere in un’era di ritorno alla ragione, alle regole certe, cioè alla libertà. Per di più sono andato a fare l’avvocato, l’“uomo di legge”. Così mi trovo, alla mia ragguardevole età, a che fare con fenomeni incomprensibili, che sono la negazione di quel trionfo della ragione, della stagione illuminista, interrotta ma non distrutta dal fascismo.

Pensate che ho sempre, fino ad oggi, ritenuto che compito del cosiddetto giurista (cosiddetto è sopravvenuto) fosse quello di confrontare ogni fatto socialmente negativo o meno e pericoloso o meno, con la legge. Pensavo, questo mi avevano messo in testa, che in un certo libretto, in genere di piccolo formato, detto “Codice Penale” ci fosse quanto dovesse bastare per vedere se ogni fatto fosse lecito o illecito, da potersi, volendo, compiere liberamente, oppure illecito così che lo Stato promette a chi voglia rendersene responsabile, quel tanto di pena che una graduazione generale di quel tanto di pena da infliggere per ogni specifica (cioè ben precisata e descritta) ipotesi di “illecito penale” con eventuali diminuzioni o aggravanti per altrettanto specifiche “circostanze”.

I codici avevano lunga vita. Quando ho varcato i cancelli dell’Università il Codice era poco ancora “giovane”, risaliva ad alcuni anni prima, al 1930. C’erano, da parte di professori e studenti, continui riferimenti al “Vecchio Codice” che risaliva, nientemeno, a Giuseppe Zanardelli. Oggi, se vado in una libreria e chiedo una copia del Codice, mi rispondono che hanno solo quello dello scorso anno. Sissignori. Il Codice, che è ancora il Codice “fascista” del 1930, è stato manipolato, modificato, aggiustato (cioè per lo più peggiorato) continuamente. E le case editrici mettono sulle copie “aggiornate” l’anno dell’edizione, scritto con caratteri cubitali: “2016”, “2018”, etc.. In uno studio legale per i codici ci vuole un’apposita scansiglia.

Oramai età, circostanze, reazioni psicologiche mi hanno imposto di non tenere più dietro alle “innovazioni”. Voglio vivere più serenamente possibile gli ultimi anni della mia vita. Ma a turbarmi (il termine non è espressivo e puntuale come il “a farmi incazzare”) sono i titoli dei giornali, le voci di mezzibusti televisivi che oramai snocciolano in inglese, in un più o meno approssimativo italiano, il lessico delle “novità”, di nuovi reati e di nuovi istituti giuridici. Giuridici, per modo di dire. Sono quelli dello “stalking”, dell’“omicidio stradale” e, poi, la “nuova legittima difesa” (che non è nuova e che non ti difende manco per il cavolo). La scala dei disvalori delle varie fattispecie di reato con la corrispondente scala delle pene è stata completamente stravolta. Ad essa è stata sostituita una graduatoria secondo le esigenze, al momento, della “lotta” a questa o quella forma di criminalità. La tendenza, però, è quella a commisurare l’entità delle pene al clamore mediatico di certi fenomeni. Ma, sempre più velocemente, sopravanza la tendenza ad adeguare le pene per tutti i reati di un certo tipo al clamore ed alle impressioni suscitate dall’ultimo caso che di tale crimine si è verificata. Ed a farne un “nuovo” reato più grave.

C’è il rischio che scompaia e venga sostituito il più antico dei crimini: l’omicidio. Oramai i pennivendoli dei più autorevoli giornali si stanno adeguando al nuovo termine, dovuto ai lumi della scienza di non so quale tanghero: se è uccisa una donna non è “omicidio” ma, nientemeno, “femminicidio”. Se l’innovazione farà presa è ineluttabile che nasca il “maschicidio”, il “gaycidio”, il “bambinicidio”, il “vecchicidio”. E ineluttabile sarà pure l’“adeguamento” delle pene alle “diversità” mediatiche di così svariati crimini. Un crimine diverso per ogni fatto diverso. Ed una pena diversa, non solo per discrezione del giudice, non solo per aggravanti e diminuenti. Ma per il nuovo “genere”: diciottennicidio, atleticidio, bellicidio, brutticidio.

Leggo in un titolo di un giornale: “Arriva il reato di ricatto sessuale”. Ricatto, estorsione sono reati da sempre, quale che sia lo strumento, la minaccia. Di che si tratterà? Per quanto ciò mi faccia semplicemente incazzare, finisco per sorprendermi ed interrogarmi di che si tratti e che cosa ci sia di “nuovo”. Finisco però con il correre con il pensiero a questa “rivoluzione lessicale” del diritto. Solo lessicale? Il diritto, in mano ai Toninelli, (ed ai suoi compari) va semplicemente a farsi benedire. Diventi, consentitemi un neologismo, “lo storto”.

Ci vorrà un secolo di fatiche di uomini di vera scienza per rimetterlo un po’ in ordine. Ad essere ottimisti. Di tali personaggi pare si sia estinta la specie.

Aggiornato il 04 aprile 2019 alle ore 11:52