Disturbi mentali e autismo: parla Stefano Vicari

La “Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo” ha evidenziato che questo disturbo è un problema che può coinvolgere tutti, in ogni parte del mondo, in ogni tipo di condizione sociale, per questo ci appartiene più di quanto non immaginiamo. Riguarda un bambino ogni 58 e di solito i maschi sono colpiti 4 volte più delle femmine. Parliamo di questo tema molto delicato, allargandolo ai disturbi mentali che coinvolgono i più giovani, con un luminare, uno studioso dell’argomento, il professor Stefano Vicari, direttore della Uoc di Neuropsichiatria infantile dell’Irccs Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma. Personalità autorevole e versatile, autore del libro “Nostro figlio è autismo”, nonché sceneggiatore ed attore egli stesso della docu-fiction televisiva “Disordini”, prodotta da Rai Educational e trasmessa in sei puntate dalle reti Rai.

Mi può dare le percentuali dei disturbi mentali secondo l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità)?

L’Oms, quindi non le aziende farmaceutiche, sottolinea come il 10 per cento dei bambini accusi un disturbo mentale in senso lato e il 16 per cento degli adolescenti abbia un disturbo mentale.

Che tipo di disturbo mentale è un disturbo mentale “in senso lato”?

Il disturbo mentale va dal disturbo del linguaggio del bambino piccolo agli esordi psicotici in adolescenza.

Quali sono questi esordi?

La schizofrenia. Quelli che pensano di essere Napoleone. Nella stragrande maggioranza dei casi cominciano a manifestare i primi segni già in adolescenza. Ricorda “A beautiful mind”? John Nash, il matematico a cui si ispira il film di Ron Howard? Quello era uno schizofrenico.

Sedici ragazzi su cento presentano un disturbo mentale?

Sì, e invece l’8 per cento accusa un disturbo depressivo. Il suicidio è la seconda causa di morte fra i 10 e i 24 anni. Ma di queste cose non si sente parlare.

Si sente spesso di ragazzi che fanno parkour, poi cadono dai tetti e muoiono, oppure vengono travolti dal treno per una sfida fra amici o ancora per un selfie durante una corsa in moto.

Queste notizie, al contrario, producono sensazionalismo. L’informazione in questo Paese è legata alla tragedia e quindi se ne può fare un film. Dello studio di questo disturbo ne ho fatto la mia ragione di vita. La sofferenza mentale, e l’Oms dice che “non c’è salute senza salute mentale”, è un aspetto fondamentale della persona. Il fatto che il 5 per cento dei bambini dai 5 anni in poi soffra di disturbo d’ansia o di fobie particolari non è da sottovalutare. Il problema centrale è che intorno alla malattia mentale c’è ancora molto pregiudizio, un genitore che ha un figlio con un disturbo mentale la prima cosa che pensa è di essere un cattivo genitore, un genitore sbagliato. Se un papà ha una figlia anoressica la prima cosa che si chiede è: “dove ho sbagliato?”.

Fa male a chiederselo?

Certo che fa male. Perché questi sono disturbi, sono malattie. Se io avessi un figlio diabetico non mi chiederei dove ho sbagliato, se gli ho fatto mangiare troppa pasta, gli ho dato troppi pasticcini. Direi che è andata così, che gli eventi hanno determinato questa situazione. Con la malattia mentale è la stessa cosa, non c’è mica una colpa. Siamo ancora figli di un pregiudizio psico-analitico-cattolico-giudaico-cristiano, per cui la malattia mentale è una punizione di Dio. Come pensavamo che fosse l’epilessia nel Medioevo. Se io sono depresso, questo capita a tutti almeno una volta nella vita, almeno un episodio di ansia o di depressione, dico “ce la devo far da solo”, “ce la faccio da solo”. Oppure gli altri ti dicono “ma che ti manca per essere felice?”. Questo è il pregiudizio intorno alla malattia mentale. Se io domani avessi una lombalgia, nessuno mi direbbe “ma dai tirati su e cammina, che ci vuole”. Andrei dal medico, piglierei gli antinfiammatori e inizierei a stare meglio. Se sono un po’ depresso vado dal medico prendo gli antidepressivi e poi sto meglio. Invece, c’è questa idea psicologica per cui c’è un trauma iniziale, che bisogna scavare dentro se stessi per trovare la causa del disturbo mentale. Palle! Il mondo scientifico non ha confermato questa visione delle cose. Il mondo scientifico dice che è il cervello che va incontro a forti spinte emotive modulate dall’ambiente, esperienze traumatiche, le conoscenze, che fortemente contribuiscono e basta quello. Intervengono molti fattori insieme. Certo, crescere in un contesto dove non c’è la povertà e dove c’è la famiglia che mi vuol bene e mi manda a studiare in una scuola che funziona e che promuove la mia crescita cognitiva e culturale riduce il rischio di malattia mentale. Ma non basta! Pensi all’incidenza delle malattie mentali nelle famiglie nobili. Per esempio, perché c’è una forte consanguineità. Eppure sono famiglie ricche, dotate di ogni bene. Ricordiamo Giovanna d’Aragona e Castiglia, detta “la pazza”. La malattia mentale in questo è democratica. Però la povertà è certamente un fattore di rischio.

Stiamo vivendo un momento storico incredibile. Molti ragazzi e ragazze giovani, anzi giovanissimi, hanno contatto con droghe anche pesanti, già a dodici anni, oppure con l’alcool, per non parlare del fatto che fanno sesso completo così presto. Come si reagisce a tutto questo e come lo si può catalogare?

Assumono sostanze già in prima media, ad undici anni. Circa il 50 per cento degli adolescenti dice di aver fatto esperienze una volta nella vita e lo stesso per il sesso che se fatto in modo responsabile può non essere un problema.

Ma poi a trent’anni cosa si fa?

Ogni scelta e ogni tipo di esperienza ci si augura sia fatta responsabilmente. Molto difficile pensare però che un undicenne sia così consapevole e che invece non leghi il suo comportamento alle mode e ad aspetti che vengano molto mediati dal contesto sociale. Io faccio molta fatica a convincere i genitori che non dovrebbero proporre la televisione ai loro figli prima dei 5 anni e non dare l’accesso alla rete libera prima dei 12 anni. Che poi a ben vedere queste sono proprio le linee guida dei pediatri. C’è un’educazione a questo? No. I genitori fanno molta fatica a dire di "no" ai propri figli. Non reggono alla frustrazione. Un figlio che piange è un bambino che ha un bisogno che va soddisfatto immediatamente. Un bambino che cresce con questa idea che tutto è dovuto e tutto deve essere immediato non riesce a modulare quanto diventa grande la frustrazione. Infatti, non sa attendere per avere un premio, non sa conquistare uno spazio. La società dei consumi passa attraverso questo, ogni mio desiderio devo soddisfarlo immediatamente: sesso, droga, alcool, lo sballo. Ho bisogno di essere a mille e di essere performante per essere accettato dagli altri. Non c’è un momento per la riflessione, non c’è un momento di silenzio, e questo perché nelle famiglie non c’è più un momento di riflessione e di ascolto comune. Guardi, si è celebrato da poco un famoso convegno sulla famiglia su cui risparmio ogni giudizio, perché non spetta a me darne. Però, mi piacerebbe che di famiglia si parlasse non solo in termini di famiglia tradizionale o no. Noi tuteliamo la famiglia se consentiamo ai genitori di essere entrambi alle cinque del pomeriggio a casa ad occuparsi dei figli. La famiglia oggi è, prevalentemente, centrata sulla necessità di garantire dei beni e questo porta i genitori ad essere fuori casa fino alle otto di sera. I figli sono affidati ai nonni, alle babysitter, agli asili nido. La gestione dei figli inizia alle otto di sera quando un bambino dovrebbe andare a dormire. Non parliamo di famiglia, ma di un modello economico che consente ai genitori di non essere costretti a lavorare fino alle otto di sera, ma di occuparsi della prole. Investiamo sui genitori perché sono agenzie educative. È un valore il fatto che loro stiano con i propri figli, non un incidente, non un fatto casuale, legato alla fortuna. Non è vero che conti la qualità del tempo piuttosto che la quantità. I figli devono sapere che a casa c’è qualcuno che li aspetta e non che si autogestiscono. La solitudine è un elemento nocivo, fa male. Se io non ci sono, non mi accorgo che mia figlia fa delle attività pericolose, illecite o frequenta persone che non vanno bene. I nonni non sono in grado di farlo. Vanno benissimo le manifestazioni per la famiglia, non stiamo a preoccuparci troppo se si tratta di un padre e una madre, di due padri, due madri. Sono questi, invece, i temi veri di cui dovremmo parlare durante queste manifestazioni. Un bambino ha bisogno di persone che gli vogliono bene. Di che sesso non ha importanza.

L’autismo, se riconosciuto entro i diciotto mesi, si può curare?

Devo sottolineare come l’autismo sia una condizione cronica. Pertanto, non si guarisce di autismo mentre deve essere perseguibile l’obiettivo di raggiungere un miglioramento anche significativo. La qualità della vita non deve essere un elemento marginale. Può essere modulabile ed anche adattabile alla realtà circostante. Tuttavia è onesto aggiungere che quanti annunciano terapie miracolose sull’autismo determinano aspettative illusorie e sono artefici di una truffa. Considerati gli elementi statistici e i numeri a nostra disposizione (uno su 59 bambini), se io avessi la capacità di guarire gli autistici, avrei già vinto il premio Nobel per la medicina.

Le vaccinazioni hanno una incidenza sulla malattia o no? Possiamo sfatare questa ipotesi che appare in realtà come una disinformazione?

Non c’entrano nulla. Uno studio recentissimo, eseguito in Danimarca su seicentomila bambini di età compresa tra zero e dieci anni, ha evidenziato che bimbi vaccinati e non vaccinati hanno avuto la stessa incidenza. È un nesso temporale come l’estrema unzione. Sono eventi che avvengono in contemporanea: vaccino e compaiono i segni dell’autismo, estrema unzione e morte. Ma il fatto che ci sia una coincidenza temporale, non vuol dire che ci sia un rapporto di causa-effetto. Non vuol dire che uno determini l’altro. Noi due siamo qui a parlare e intanto scorre l’acqua di questa fontana: è una coincidenza temporale e deve essere dimostrata l’esistenza di un nesso di causalità fra queste due cose.

@vanessaseffer

 

Aggiornato il 09 aprile 2019 alle ore 18:05