Muore Massimo Bordin e chiude Radio Radicale

L’ultima battuta di Massimo Bordin – prima della sua morte – che rimarrà nei nostri cuori oltre che nei nostri cervelli, fu quella per etichettare il sottosegretario all’Editoria del Movimento Cinque Stelle, Vito Crimi, definito il “gerarca minore”. Il tutto durante una delle ultime, forse proprio l’ultima, rassegna di “Stampa e Regime” da lui condotta. Prima di dover chiedere alla Radio – che adesso il Governo si vanta di voler far chiudere con indifferenza e arroganza – alcuni giorni di sosta per curarsi.

Era discreto Massimo e dei suoi problemi di salute, come di tutti gli altri, immagino parlasse a stento con gli amici intimi. Di cui non ho avuto la ventura e la possibilità di fare parte. Tuttavia Massimo è come se fosse morto sul pezzo. E nelle orecchie quella battuta feroce per sbugiardare la prosopopea infingarda e ipocrita del sottosegretario che dice di voler risparmiare quattro soldi non finanziando più la convenzione con l’emittente, inventandosi falsità a ripetizione per giustificare l’ingiustificabile – tipo il “non aver mai partecipato a una gara”, mentre era il Governo che dopo la prima non ne volle fare più perché non si sapesse che con quella cifra che corrisponde agli attuali 8 milioni di euro nessuno si presentava non essendo la cosa affatto redditizia – farà eco ancora a lungo.

Come minimo finché questa brutta storia di soppressione di un servizio pubblico non verrà chiarita per quel che è: il “Governo del cambiamento” semplicemente non vuole che le persone sentano i discorsi dei parlamentari, quel che avviene nelle aule di giustizia, al Csm, alla Corte costituzionale e nei congressi di partito, né che i cittadini possano rendersi conto della pochezza della classe dirigente italiana semplicemente sentendola parlare. Adesso l’algoritmo qualunquista della Casaleggio Associati prefigura per tutti noi una consapevolezza da autobus gremito nelle ora di punta, tra gente inferocita per il peso delle sporte della spesa o perché qualcuno le si è strofinato contro nella calca interna al mezzo.

Massimo Bordin era per Radio Radicale ciò che Luis Armstrong o Chet Baker sono stati per il jazz: semplicemente il più grande, anche dei simboli. Se la rassegna di “Stampa e Regime” era la summa teologica del rapporto tra Radicali e mass media, la conversazione domenicale con Marco Pannella, interrottasi nell’aprile 2016 un mese prima della morte di Marco, era il sancta sanctorum della politica del Partito radicale transnazionale. Peraltro Bordin era una persona preparatissima e quasi leonardesca nei propri interessi giornalistici: si andava dalla conduzione e annessa spiegazione dei vari processi seguiti udienza per udienza nello speciale giustizia al dialogo con Fiamma Nirenstein su Israele fino a quello con Giovanna Pajetta sull’America.

Un giornalista così se non ci fosse stato si sarebbe dovuto inventare. E invece, a parte essere stato per anni direttore della più grande radio di informazione pubblica europea e collaboratore de “Il Foglio”, nessuno nei decenni si era mai sognato di approfittare della sua preparazione per proporlo, che so, come direttore di rete in Rai. Figuriamoci, una persona così buona e onesta intellettualmente andare a sbattere in simili covi di vipere del potere.

No, Massimo Bordin era contento e ricco di quel che aveva dentro, oltre alla suddetta bontà d’animo: un’intelligenza esagerata, un senso critico che si coniugava con l’onestà intellettuale di cui poteva fare sfoggio come e quando voleva. Noi tutti qui a “L’Opinione” – oltre a stringerci attorno alla sua famiglia di Radio Radicale che in questi giorni sta vedendo i sorci verdi della prepotenza e dell’ignoranza grillina – rimpiangeremo la voce che per trenta e passa anni ci ha svegliato la mattina intorno alle 7,35. Noi tutti abbiamo amato “The Voice”, noi tutti osserviamo la sinistra coincidenza simbolica tra il suo ultimo viaggio e quello che sembra essere l’ultimo capitolo di una storia radiofonica e politico-esistenziale iniziata a metà degli anni Settanta. Ma nessuno di noi si rassegnerà a questo schifo senza prima aver lottato. A cominciare dalla partecipazione alla marcia di Pasqua delle 11 a piazzale della Madonna di Loreto vicino l’Altare della Patria. E se non è Patria Radio Radicale, ditemi voi cosa lo è.

Anche il direttore Arturo Diaconale, la redazione, l’amministrazione, i colleghi e i collaboratori tutti de “L’Opinione” si stringono attorno alla famiglia di Massimo Bordin e di tutta Radio Radicale.

 

Aggiornato il 17 aprile 2024 alle ore 12:04