Decrescita demografica e mancanza di buon senso

Il rapporto dell’Istat sulla decrescita economica e demografica italiana non sorprende. Preoccupa, forse. Alimenta paure già in essere. E forse prova a lanciare un messaggio a chi la politica la fa per professione.

Eppure pare siano in pochi – e se ci sono non si fanno sentire – a voler affrontare il tema con un minimo di buon senso. Il problema della decrescita demografica non riguarda solo l’Italia ma tutti i paesi cosiddetti ricchi: chi continua a figliare infatti sono gli immigrati e le popolazioni più povere (come spiegato nel rapporto dell’Onu “World Population Prospects 2019: Highlights” presentato a New York lo scorso 17 giugno).

Ma perché i paesi più abbienti fanno meno figli? Le risposte sono abbastanza ovvie per chi non vuole mettersi i proverbiali prosciutti davanti agli occhi. La società è cambiata e con essa sono cambiate anche le possibilità. Invece di auspicare un ritorno al passato dove le donne erano costrette a casa e gli uomini non avevano altra scelta che addossarsi tutto il carico economico familiare, bisognerebbe provare a ragionare sulle condizioni presenti per trovare soluzioni attuabili (per non dire auspicabili).

La risposta al perché si fanno meno figli è semplice: le persone non se lo possono permettere. Uomini e donne, indistintamente.

La società è cambiata, dicevamo. Sono pochi gli uomini che riescono ad arrivare a stipendi in grado di mantenere un’intera famiglia, nel caso in cui siano i soli a lavorare. E le donne sono ancor meno.

Perché è cambiato il mondo del lavoro: gli oneri sono in continua crescita e gli “onori” sono quasi inesistenti. A fronte di 8, 10 o anche 12 ore di lavoro al giorno, gli stipendi - nella maggior parte dei casi - bastano appena per pagare le spese di base (cibo, casa, bollette, tasse). E non perché il datore di lavoro sia brutto e cattivo, ma perché il costo che ogni azienda deve sostenere per lavoratore/lavoratrice è diventato assurdamente alto.

Ed è cambiata la società: le donne prima di diventare madri vogliono e provano a diventare autonome come esseri umani. E lo stesso vale per gli uomini. Inutile fare la guerra fra sessi o fra poveri.

Sono cambiate anche le famiglie: sono poche le persone che possono contare sul sostegno dei familiari nella crescita dei figli.

La verità è tanto semplice quanto triste: se si considera una coppia, nella maggior parte dei casi entrambi avranno la necessità di lavorare a tempo pieno per “arrivare a fine mese”. E il bambino chi lo tiene?

Gli asili pubblici hanno costi spropositati, orari totalmente distanti dalle esigenze di chi deve lavorare e sono poche le aziende che agevolano la natalità. Sono ancora tante le situazioni in cui una donna viene assunta a condizione che non rimanga incinta. E non sono affatto poche le aziende che richiedono, in sede di assunzione, di firmare il foglio di dimissioni in bianco nel caso in cui la “temuta evenienza” accada.

E se una donna incinta viene molto spesso costretta a lasciare il posto di lavoro, la situazione non migliora guardando al mondo maschile. Cosa dovrebbe inventarsi un uomo per riuscire a mantenere la donna ed il figlio? E che dire poi di tutte le situazioni dove c’è solo un genitore? Esistono persone che rimangono vedove, che divorziano, che decidono in partenza di imbarcarsi nell’avventura della genitorialità da sole: chi può permettersi di condannarle?

Ma, pragmaticamente, come dovrebbero fare a mantenere uno o più figli quando riescono a stento a sopravvivere?

Se si vuole incentivare la natalità bisogno prima riformulare totalmente il mondo del lavoro in modo che ogni persona, uomo o donna che sia, possa essere in grado di essere economicamente autosufficiente. E per farlo bisogna mettere le aziende in grado di attuare politiche di sostegno alla genitorialità: i congedi parentali per padri, gli asili aziendali, gli orari flessibili sono solo le prime delle tante cose da attuare immediatamente. Ma in Italia siamo ancora lontani dal concepirlo, figuriamoci da attuarlo.

Aggiornato il 21 giugno 2019 alle ore 15:21