A ruota di Greta

Se fosse stato Sunday for future anziché Friday, si sarebbe tolta la possibilità al ministro Lorenzo Fioramonti di prendere la scena con una proposta per noi piuttosto sciocca, perché di manifestazioni importanti ce ne sono tante e la giustificazione si moltiplicherebbe ad nutum. Certo, c’è da dire che se gli studenti fossero stati invitati a conclamare l’amore per il pianeta, di domenica, probabilmente ci saremmo ritrovati al grande Massimo Troisi, “pensavo fosse amore e invece era un calesse”.

Oltretutto questi giovani che si sbracciano per la tutela dell’ambiente appresso a Greta Thunberg, sono gli stessi che modificano il motore delle macchinette e dei motorini inondando l’aria di fumi di scarico e di rumore, che dopo la movida lasciano per strada ogni genere di lattine, bottigliette e cicche di sigaretta. Insomma, ricordarsi della tutela dell’habitat perché fa trendy non è il massimo della sensibilità, come non è il massimo della sincerità per l’Onu offrire il palco a Greta e non agli scienziati che la contraddicono.

Ci sono infatti fior di “capoccioni”, premi Nobel compresi, pronti a dimostrare che i cambiamenti climatici siano ciclici e conseguenti, in qualche modo endogeni, piuttosto che legati a fattori esterni e umani. Eppure, è scontato che l’uomo se ne buggeri del pianeta, se all’Onu fosse veramente a cuore il tema dovrebbe intervenire pesantemente con la Cina, con l’India e altri, che fanno strame dell’inquinamento, dello sfruttamento, della tutela della Terra.

Si tratta di un tema antico che in realtà è stato spesso disatteso, salvo essere guarda caso trasformato ora in allarme rosso, perché il fenomeno “Gretino” si è lanciato sul mercato. Sia chiaro, su Greta nulla questio, ci mancherebbe, ma ci chiediamo cosa sarebbe successo se a lanciare il grido di dolore fossero stati, anziché una bambina, un qualunque signore oppure una signora, chissà?

Del resto è dall’inizio del 1970, 50 anni, che il Club di Roma di Aurelio Peccei, fondato dai più autorevoli scienziati, esperti e tecnici internazionali, segnala il pericolo ambientale, il rischio di trascuratezza della Terra, lo sfruttamento ipocrita e selvaggio delle risorse naturali. Nel 1972 infatti il Club di Roma presentò ufficialmente al mondo il Rapporto sui limiti dello sviluppo, Rapporto Meadows, elaborato col Mit americano, per segnalare l’allarme, il pericolo ambientale, della mortificazione del Pianeta, eppure?

Eppure da allora piuttosto che seguire e approfondire il problema, Onu compresa, si è fatto finta di niente, tranne che per salvare la faccia qualche convention internazionale, qualche round mondiale ad effetto, qualche conferenza planetaria più teatrale che sostanziale.

Insomma, dichiarazioni di intenti, elaborazione di documenti, segnalazioni e raccomandazioni, ma alla prova dei fatti a partire dal colosso cinese si è continuato bellamente a produrre, inquinare e depredare in barba ad ogni rispetto delle regole sull’ambiente. Si scopre ora l’effetto plastica ma si è lasciato che si plastificasse tutto, l’effetto serra ma in nome del petrolio si è ritardata l’energia rinnovabile. Si scopre l’effetto verde ma, senza scomodare l’Amazzonia, basti citare il dramma mondiale degli incendi immensi per dolo o trascuratezza.

Ecco perché sa di bruciato il Gretismo scalmanato; da noi poi c’è una legge per la piantumazione disattesa da ogni istituzione, c’è chi vieta i termovalorizzatori, chi vuole i camion al posto della Tav, chi è contro le trivellazioni per il gas naturale e si è colpito il vetro a favore della plastica.

Eppure noi coi capelli bianchi siamo cresciuti col vetro, col cartone, coi filobus, le casse di legno per la frutta e la carta paglia, coi rifiuti nel bidone al posto del sacchetto, chi aveva ragione? Viene da dire, se gioventù volesse e vecchiaia potesse tornerebbe l’amore e finirebbe il calesse.

Aggiornato il 27 settembre 2019 alle ore 11:35