La lezione di Chernobyl

Pochi giorni fa si celebrava l’anniversario della caduta del muro di Berlino e tante parole sono state spese per evidenziare quel cambiamento storico che poneva la libertà come vincente dinanzi ai totalitarismi novecenteschi. Era anche la fine di un mondo bipolare; un mondo, cioè, fondato su di un equilibrio, anche tecnologico, precario ma stabile intorno a due alternative in cui assumeva grande importanza la paura nei confronti della supremazia e della potenziale capacità distruttiva dell’altro. Il crollo di quel mondo, che per tanti e per tanti motivi ha rappresentato un momento di apertura alla pluralità, alla democrazia, all’autodeterminazione dei popoli, e che oggi risente di una involuzione delle democrazie (anche di quelle occidentali), ha lasciato però l’umanità dinanzi a domande enormi sulle ragioni e sui pericoli inerenti lo sviluppo delle proprie società.

Esiste un luogo che, assieme ad altri e forse più di altri, pone l’umanità dinanzi a parte di queste fondamentali domande: Chernobyl. Ieri, luogo strategico civile e militare dell’ex Unione Sovietica, un luogo sviluppatosi in funzione delle esigenze della difesa militare sovietica; oggi, il luogo dove si calcolano i danni e la capacità di reazione della natura su quello che di certo può essere considerato il più grande disastro ambientale per mano umana della storia. Un disastro forse prodotto da un difetto caratteriale prettamente umano, qualcosa che supera le ideologie, i sistemi di sviluppo delle società umane ma che fin troppo spesso è correlabile alla gestione umana del potere e con esso la gestione delle società in cui semplicemente affiora: arroganza e presunzione dell’interesse particolare applicate all’interesse generale. Ma non è solo questo il dato su cui riflettere; c’è che le società umane più aumentano il proprio livello di sviluppo, più aumentano la propria complessità tecnologica, più ne aumentano i livelli di vulnerabilità. Contava per l’Urss, conta anche per noi.

L’energia nucleare ne rappresenta l’esempio concreto; la delicatezza strutturale della sua costruzione e della sua gestione la rende vulnerabile tanto ad un evento distruttivo naturale (Fukushima) quanto ad un errore umano (Chernobyl) o alla sua volontà di potenza (Hiroshima e Nagasaki) ed il danno potenzialmente prodotto rende l’ambiente invivibile ad ognuno di noi.

Nonostante sia aperto alle visite temporanee e nonostante la cura ed i puntuali controlli di sicurezza della centrale nucleare avviata nel lungo processo di dismissione, Chernobyl, e più in generale la zona di esclusione comunque rimane un luogo invivibile e lo rimarrà per tanto, tantissimo tempo. Camminare tra le strade di una città come Pripyat, nata per Chernobyl e cancellata oggi dalle cartine geografiche della convivenza civile, avere paura di incappare involontariamente in qualcosa di altamente radioattivo, sentire addosso il fantasma, più che della temporanea esposizione, della contaminazione che ti avvolge sino al controllo successivo, il porsi dinanzi alla responsabilità che ricopre anche la banalità di un gesto come il premere quel bottone che ha prodotto quel male da cui un pezzo di umanità (o forse tutta l’umanità) non potrà tornare più indietro fa riflettere (e per questo ringrazio il gruppo α ristretto e molto vivace organizzato da Francesca Dani assieme alle guide del luogo che ringrazio per l’abnegazione con cui trattano la storia di Chernobyl).

Fa riflettere perché non c’è solo la tragedia umana; il rischio nucleare, del resto, riguarda la salute e la vivibilità dell’intero ecosistema terrestre e chi come me all’età di 4 anni di un piccolo paesino del sud Italia, quindi molto distante da quei luoghi, non poté nemmeno uscire a giocare in campagna ne ha limpida coscienza. Il mondo di oggi è multipolare e questo implica la ricerca di uno sviluppo industriale paritario da parte di più poli. Implica l’esistenza di più territori “caldi” e di più guerre fredde. Gran parte dell’arsenale militare mondiale (non solo di Russia e Stati Uniti) è strettamente collegata ad un uso diretto o indiretto dell’energia nucleare. Alle tre grandi di oggi (Stati Uniti, Russia e Cina) si aggiungono Corea del Nord, Iran, India e Pakistan, ecc... La Germania si sta dotando recentemente di scorte di pillole di iodio per l’intera popolazione tedesca. Il trattato Onu per la riduzione delle armi atomiche è di fatto saltato e tutti noi siamo spettatori di quanto sia aumentato il clima di tensione sul nucleare (UsaCorea del NordIran).

Il mondo contemporaneo costruisce nuovi muri, nuove cortine di ferro, diminuisce diritti, riduce democrazia. Lo stato di diritto internazionale sembra avere meno valore di prima ed il fattore umano rende il clima globale sempre più invivibile. Non si può tenere nascosto quanto come diritto deve essere prima o poi affermato e praticato: il diritto ad un ambiente pacifico e vivibile per l’essere umano. Oltre al rischio, l’utilizzo del nucleare, che sia esso militare o civile, è fin troppo spesso adiacente al primo. Ma una lotta più generale per l’affermazione globale dei diritti fondamentali e civili, passa attraverso la convivenza pacifica dei popoli. È necessario, quindi, avere coscienza che questo si compie anche attraverso la riconversione energetica delle società contemporanee e per questo ne possediamo ormai le conoscenze. Adesso è necessario averne la volontà.

Aggiornato il 15 novembre 2019 alle ore 18:16