A proposito del “Black Friday”

Pochi giorni or sono, in tutte le città italiane – e in molte altre nel mondo – si è celebrato un rito laico, con tanto di liturgia, effetti demiurgici e massiccia partecipazione popolare. Alludo a ciò che mi si dice (giuro che fino alla settimana scorsa non sapevo di cosa si trattasse) essere conosciuto come “Black Friday”. Da informazioni assunte in Rete – e da prendere perciò con un doveroso beneficio d’inventario – pare che questa denominazione voglia alludere al fatto che concedere da parte dei negozianti al dettaglio una intera giornata di sconti eccezionali alla clientela garantisca il passaggio nel libro dei conti – quelli che si tenevano ancora a mano su polverosi registri – dal rosso del passivo al nero dell’attivo: insomma, una vendita molto scontata aiuta molto sia chi acquisti per ovvi motivi e, per altri motivi parimenti ovvi, anche il venditore che moltiplica i guadagni. Assodato ciò, mi vengono due osservazioni: la prima di costume, la seconda di carattere economico-finanziario.

Dal primo punto di vista, va rilevato come il solo annuncio di una tale iniziativa sia capace di innescare in molte persone – altrimenti del tutto normali – una carica spropositata di istinti belluini, genuinamente animaleschi, proditoriamente violenti e incuranti del prossimo. La caccia all’acquisto scontato e conveniente diventa il luogo elettivo nel cui ambito l’uomo del nostro tempo – quello democratico, politicamente corretto, animalista, femminista, ambientalista, seguace indefesso di Greta Thunberg, tendenzialmente sardina se non direttamente merluzzo – gettando la maschera si trasforma, dando mostra della sua vera identità. Una identità sconvolgente almeno per chi aveva preso sul serio quelle rinomate e sbandierate qualità, una identità malata e violenta, capace di calpestare il prossimo, non in senso figurato, ma letteralmente.

Gira in Rete un filmato di breve durata ma emblematico in tal senso e che mostra l’apertura di un grande magazzino, a Rio de Janeiro, la mattina di quel giorno fatale. Ebbene, le immagini della registrazione mostrano una folla urlante ammassata a ridosso di un cancello che, subito dopo l’apertura, viene addirittura divelto dalla pressione di questi esseri arrembanti, mentre i malcapitati delle prime file vengono calpestati ed abbandonati senza pietà esanimi e feriti, inutilmente soccorsi dagli addetti alla sicurezza (mai termine fu più inadatto), anch’essi travolti dalla fiumana inarrestabile che sradica tutto ciò che incontra al suo passaggio. Una scena da film dell’orrore, in confronto alla quale la folla che fuggiva all’arrivo dello Tsunami delle Filippine di qualche anno fa può apparire una ordinata scolaresca che si allontana da un luogo troppo pericoloso. E tutto questo per comprare un telefonino o un pigiama con lo sconto del 30 o del 50 per cento...

Vi sembra normale? A me no. E tuttavia non basta censurare, occorrendo capire.

Da capire forse rimane che, da un lato, nell’uomo cova da sempre – in ciascuno di noi, nessuno escluso – un istinto violento dedito alla più aspra sopraffazione, che non sfuggì al pensiero greco, avvezzo a definire gli uomini “simili a tigri” e che indusse Sofocle a qualificare l’essere umano come “il più inquietante degli esseri”; mentre, dall’altro lato, va notato che una tale bieca istintività viene moltiplicata a dismisura dalla caccia all’acquisto scontato il quale, nel nostro tempo, ha preso il posto, spodestandolo, di ogni desiderio di vendetta esplicitamente violento.

Intendo dire che oggi, invece di scagliarsi sul vicino di casa per ucciderlo allo scopo di vendicarsi perché occupa abusivamente lo stallo riservato dal regolamento condominiale alla mia auto (anche se casi del genere purtroppo nelle cronache non mancano), si orienta in direzione diversa la carica di violenza che si addensa dentro di noi, la quale rende pronti a passare sul cadavere del prossimo (letteralmente) pur di accaparrarsi l’ultimo modello di telefonino ad un prezzo imbattibile.

Non escludo possa anche operare ciò che René Girard aveva individuato come il “desiderio mimetico”. In base a questa suggestiva teoria, il soggetto desidera, ma non sa esattamente che cosa, finché gli altri gli mostrano cosa egli “debba” desiderare, semplicemente acquistando quel determinato oggetto (per esempio, il nuovo telefonino). Ora, e soltanto ora, il soggetto sa su cosa orientare il proprio desiderio ed è disposto a tutto pur di realizzarlo: anche a costo di lasciare morti e feriti al suo passaggio, il desiderio va soddisfatto, perché la propria identità coincide con quel desiderio e con la sua soddisfazione. Chi non lo soddisfi è come non esistesse, come fosse sparito dalla scena sociale. Ed ecco dunque la folla urlante, i morti e i feriti al suo passaggio e le scene di inaudita violenza all’apertura di un cancello.

Dal secondo punto di vista – quello economico-finanziario – mi limito ad un quesito. Ma se in un solo giorno, come pare, un negoziante riesce a vendere una ingentissima ed altrimenti impensabile quantità di prodotti, tanto da risanare i malmessi conti, passando cioè dal rosso delle perdite al nero dei profitti, non sarebbe il caso di proporre più giornate simili nel corso dell’anno? Non si potrebbe cioè replicare un “black friday” ogni due settimane o una volta alla settimana?

Il venditore si garantirebbe uno smercio di prodotti assai proficuo e il compratore avrebbe modo di restare umano senza animalizzarsi, calpestando il cadavere del vicino pur di arraffare ciò che desidera. Sarebbe, credo, un atto dovuto: sia per ragioni di ordine pubblico che, prima ancora, di umana pietà.

Aggiornato il 16 dicembre 2019 alle ore 13:12