Elezioni Inpgi: sfida al futuro

giovedì 16 gennaio 2020


Manca un mese circa alle elezioni per i nuovi vertici dell’Istituto di previdenza dei giornalisti (Inpgi), il cui bilancio è in rosso per il terzo anno consecutivo per oltre cento milioni. L’allarme è scattato quando nel giro di quattro anni sono scomparsi 3.300 posti di lavoro e ben 400 soltanto nei primi sei mesi del 2019. La crisi è profonda. Conseguenza anche delle scelte politiche della maggioranza della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) che hanno condizionato la gestione dell’Istituto di previdenza. Con l’autorizzazione concessa ai prepensionamenti di massa e la riduzione degli introiti della pubblicità dopo il calo delle vendite nelle edicole il quadro che emerge è preoccupante: 10mila pensionati a fronte di appena 14mila giornalisti in attività che pagano i contributi.

È cresciuto nel frattempo il numero dei giornalisti autonomi, un esercito in gran parte di finti autonomi che versano pochi contributi alla gestione Inpgi 2 ma che avranno “pensioni ridicole”. Appare evidente allora il fenomeno della provenienza di altre entrate. Se il deficit d’esercizio è arrivato nel 2019 a circa 150 milioni e la riserva tecnica si è dimezzata (scendendo a 2 annualità e mezzo contro le 5 previste dalla legge) s’impone una riflessione profonda, non solo per difendere i futuri giornalisti ma anche per cambiare l’Inpgi al fine di farlo vivere.

L’ipotesi dell’attuale maggioranza (sempre la stessa da decenni) che governa l’Istituto d’intesa con la Federazione nazionale della stampa guidata dalla coppia Beppe Giulietti-Raffaele Lorusso è quella di allargare la base contributiva, facendo entrare nell’Inpgi categorie del variegato mondo dell’informazione. Un altro errore. E qui viene chiamato in causa il sistema dei controlli e dell’evasione dei contributi. Più lineare e proficuo sarebbe invece il recupero dei contributi di artisti e commentatori televisivi, specie sportivi, che versano gli oneri previdenziali ad altre casse dell’Inps.

Un altro filone dovrebbe essere quello della progressiva estensione del contratto nazionale a migliaia di Cococo (Contratto di collaborazione coordinata e continuativa). E collaboratori finti autonomi quando invece di fatto sono dipendenti anche a tempo pieno di testate giornalistiche e negli uffici stampa sia della pubblica amministrazione che delle imprese. In un quadro complessivo di riforma dell’Ordine dei giornalisti è ora di prevedere l’ingresso di nuove figure professionali, attraverso il necessario esame di Stato. Di fronte alla crisi dell’editoria e il calo dei contributi sarebbe morale e di buon senso la riduzione dei componenti del Consiglio di amministrazione e dei dirigenti di vertice.

Secondo il gruppo “SalviamolepensioniInpgi” che si presenta alle elezioni sarebbe opportuno limitare a 150 euro a seduta Cda, un tetto massimo delle retribuzioni a 100mila euro lordi e varare la riforma della pletorica rappresentanza del Consiglio generale. Non sono certo iniziative risolutive ma potrebbero avviare un cambiamento di rotta a partire dalla tutela del patrimonio immobiliare, gestito finora con logiche finanziarie per rivalutarlo ai fini dell’iscrizione in bilancio. Le questioni di fondo restano due: la crisi dell’editoria e i circa 30 milioni l’anno delle spese per gli oneri degli ammortizzatori sociali. I giornalisti sono l’unica categoria di lavoratori dipendenti con una cassa previdenziale privatizzata sostitutiva dell’Inps. L’unica categoria che si paga le crisi aziendali. Ci sono sei mesi di tempo prima che il governo decida il Commissariamento dell’istituto. Le elezioni possono essere l’occasione propizia per una svolta.


di Sergio Menicucci