Papa Benedetto aveva una vigna

Una leggenda ebraica racconta che il Gran Re e Mago supremo, Salomone, possedeva tra le proprie inestimabili ricchezze una vigna che splendeva al sole del deserto e che affidò a due guardiani, per mille denari d’argento.

La vigna è un simbolo antico, come l’uva e come il vino, appartenente alla tradizione giudaica prima ma anche a quella cristiana e greco ellenistica dopo, tanto che sia Dioniso sia Orfeo sono intimamente legati ad essa, così proprio come il Cristo. Dunque non ci può stupire che Papa Benedetto XVI, al momento della sua intronizzazione, si sia voluto definire “un umile operaio nella vigna del Signore”. Il Pontefice sa benissimo che ad ogni simbolo corrisponde una realtà tangibile e che ad ogni cosa terrena fa capo un suo corrispettivo iperuranio. Se esiste una “vigna del Signore”, essa deve esistere anche qui, nel nostro mondo di polvere. Ecco perché Ratzinger, con tanta cura, con lo stesso amore che ha per i suoi adorati gatti, ha voluto conservare – proprio come Re Salomone – una coltivazione d’uva nel panorama perfetto di Castel Gandolfo.

Distruggere quindi quella vigna, simbolo e realtà trascendente del sangue di Cristo, del vino come bevanda di vita eterna, è stato più di uno sfregio, è stata una voluta e scientemente deliberata distruzione creata da forze che non esitiamo a definire “infere”. I filari dietri i quali Noè sa camminava Dio stesso, sono stati completamente sradicati dal terreno della villa pontificia, creando il deserto.

“Il Regno dei Cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna (...) Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. (…) Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”, così si legge nel Vangelo di Matteo (20,1-16).

Adesso, in luogo di quei tralci e di quei pampini d’uva che maturava al sole autunnale, in quell'angolo remoto ma essenziale del vasto parco, posto non certo per caso vicino alla fontana d’Orfeo, si è voluta realizzare un’inutile strada che non conduce da nessuna parte. L’uomo un tempo sapeva ben leggere i segni che il Cielo gli pone davanti, e anche il più ignorante bifolco avrebbe compreso tutto ciò cosa vuol dire.

La direttrice dei Musei Vaticani dai quali dipendeva proprio la coltivazione vinicola, Barbara Jatta, subito interpellata sulla vicenda, ha fatto sapere per mezzo del proprio ufficio stampa di non volerne parlare e non ha quindi dato alcuna spiegazione, incrementando così di fatto, dubbi e ombre sul perché di tale decisione, ma desideriamo ricordare ai più distratti che lo zolfo si usa proprio in viticultura per salvaguardare l’uva e qui, in questo caso, l’odore di zolfo, è molto, molto persistente. Addirittura soffocante.

Aggiornato il 21 gennaio 2020 alle ore 11:14