La festa dell’8 marzo ricorda la giornata internazionale della donna legata ad un tragico evento avvenuto nel 1908  nella fabbrica Cotton a New York, quando 129 donne morirono a causa di un incendio a cui non poterono sfuggire per le condizioni di lavoro disumane a cui erano sottoposte.

Con il passare del tempo si è voluto collegare a questa data il simbolo della lotta che tutte le donne nel mondo hanno portato avanti, nell’intento di abbattere le disuguaglianze, di raggiungere la parità e di vedere finalmente riconosciuti quei diritti che, pur sanciti tardivamente nelle convenzioni internazionali, nelle carte costituzionali e in migliaia di leggi, decreti, regolamenti, non sempre sono concretamente riconosciuti e rispettati.

Allo stato, l’Italia è dotata di un avanzato sistema giuridico di pari opportunità, ma ancora non si sono compiutamente sviluppate le necessarie condizioni per una concreta parità di sostanza e per una maggiore diffusione della “cultura di genere”. È inconfutabile che la crescita economica e civile passa necessariamente attraverso l’inclusione delle donne nel mondo del lavoro e della politica.

Rispetto all’Europa a 27, l’Italia risulta ancora molto distante dagli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona che intendeva raggiungere entro il 2010 un tasso di occupazione femminile pari al 60%. Questo forte divario dai suddetti obiettivi può far dubitare sull’utilità di fissare traguardi uniformi per tutti i paesi europei che, di contro, presentano condizioni economiche, sociali culturali verso il lavoro femminile, molto diverse.

Come affermava Marco Biagi la donna è il “mainstream, ovvero il metro con cui si giudica il grado di democrazia ed il livello di un modello sociale, essendo il soggetto più debole. In Italia le laureate sono in maggior numero, ma il tasso di occupazione è inferiore a quello degli uomini. Questa assoluta ingiustizia (spesso anche salariale a parità di mansioni) deve essere fronteggiata intervenendo, ad esempio, soprattutto sulla carenza di strutture di conciliazione famiglia-lavoro poiché il costo maggiore di una società incentrata sulla famiglia corrisponde al peso straordinario che incombe sulle donne: nell’arco di un anno la differenza di lavoro donna-uomo significa che le donne lavorano 27 giorni (di 8 ore) in più rispetto agli uomini. Inoltre, la diffusione di lavori precari, la scarsità di servizi pubblici all’infanzia e di misure di conciliazione ostacolano fortemente l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e le difficoltà non mancano nemmeno per quelle più qualificate per le quali è più facile superare le barriere d’ingresso ma risulta difficile progredire nella carriera: differenziali salariali crescenti rispetto agli uomini, con pari livello di istruzione e di qualifica, segnalano un problema di “segregazione verticale” che ostacola l’accesso delle donne ai vertici.

Il famoso work/life balance sarà possibile solo quando aumenteranno per le donne le opportunità di conciliare la presenza nel mercato del lavoro e le responsabilità familiari e ci saranno regole aziendali  ed atteggiamenti mentali più flessibili e strutture sociali più adeguate. Il problema della organizzazione familiare, anche ad esempio, in termini di assistenza agli anziani, è destinato a complicarsi, considerando il forte aumento dell’età media della popolazione italiana in questi ultimi anni.

Il non aver trovato l’equilibrio tra lavoro e famiglia non è una debolezza delle donne ma della intera società nel nostro Paese. Occorre, quindi, diffondere la “cultura” della maternità vista non come ostacolo ma come responsabilità sociale, assunta e condivisa da tutti, programmare orari di lavoro flessibili per le madri lavoratrici al fine di strutturare la loro giornata lavorativa secondo le esigenze della famiglia ed incrementare l’istituzione del telelavoro per casi particolari. In proposito, la tecnologia è e sarà sempre più, uno strumento straordinario per dare alle donne pari opportunità di lavoro. Con la banda larga e gli smart phone, attraverso video conferenze e sistemi di comunicazione collaborativi, una donna può organizzarsi meglio il tempo e conciliare con più armonia vita lavorativa e familiare. Il ruolo attuale della famiglia quale ammortizzatore sociale, che contiene, anche se a fatica, i disagi del mondo giovanile, degli anziani, dei disabili, è contraddistinto fortemente dalla presenza femminile. La difficoltà del ruolo delle donne a gestire tali disagi  non può essere lasciata alla capacità delle singole persone.

Questa scarsa attenzione alle esigenze della donna è senza dubbio dovuta anche alla insufficiente presenza delle donne nella politica, pur costituendo l’elettorato di maggioranza. Pertanto, le donne dovrebbero votare candidate donne non solo per un principio di pari opportunità ma perché una maggiore presenza delle donne in politica  significa più politiche per le donne.

È noto che il rapporto delle donne con la politica è stato sempre problematico, sia per le difficoltà di accesso (maschilismo della dirigenza dei partiti, mancanza di cultura di partecipazione, necessità di risorse economiche per le campagne elettorali, ecc…), sia perché in questi ultimi anni la politica ha perso il contatto con la società civile, coinvolta nelle risse e nella contrapposizione e le donne, di conseguenza, da sempre propense a spendere il proprio spirito di servizio in attività concrete e fattive, se ne sono allontanate. Il significato della politica, così come percepito dalle donne, risulta, allo stato, privo di valori e di  contenuti e non più inteso come servizio al bene comune. Sono venuti meno quei riferimenti che, comunque, davano sicurezza e determinavano l’assetto della società civile: le ideologie, la fede, la famiglia, la scuola, i partiti. Tutto questo si è appannato e svilito ed il sentimento che pervade oggi, in prevalenza, la collettività è di insicurezza, delusione, pessimismo, soprattutto dopo i numerosi scandali della politica. Pertanto, l’unica strada possibile per superare questo difficile momento è quella impegnarsi nel riconoscere alle donne un ruolo determinante in questo progetto di “ricostruzione” di valori.

La legge “Golfo-Mosca” sulle quote di genere (legge 120/2011 c.d. “quote rosa”) nei Consigli di amministrazione delle società quotate in borsa ho prodotto sicuramente effetti benefici: da 170 donne nel 2008 (5,9%) alle 811 attuali (36,3%), mentre nei collegi sindacali si è passati dal 13,4% del 2012 al 41% del 2019 con 475 sindaci donne. Il Parlamento ha recentemente modificato la suddetta legge alzando al 40% (rispetto al precedente 30%) la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle suddette società. Tra qualche mese, quando saranno varati i rinnovi dei consigli vedremo se la norma appena modificata sarà stata rispettata. La ratio della legge ha imposto con una azione positiva (favorita anche dalla modifica dell’art. 51 della Costituzione) di inserire più donne nelle posizioni di vertice delle aziende e società quotate in borsa.

In conclusione, ad ogni donna deve essere riconosciuto il diritto di potersi orientare secondo la propria sensibilità, la propria formazione, il proprio talento. Compito della politica è quello di mettere le donne in condizione di poter scegliere davvero, dando pari opportunità di studio, di lavoro, di scelta della cura della famiglia. Attualmente la presenza femminile nelle istituzioni  pone l’Italia agli ultimi posti in Europa e nel mondo. È giunta l’ora che le donne decidano di non delegare più ad altri quello che potrebbero fare altrettanto e forse meglio, poiché la capacità di prendersi cura degli altri costituisce la specificità dell'etica femminile, che deve essere messa al servizio non solo della famiglia, ma della intera collettività. La maggiore presenza delle donne nelle istituzioni dovrà funzionare da  stimolo per il legislatore nazionale e locale ad intervenire con maggiore incisività nei settori della famiglia, della tutela dei minori, nella promozione e formazione del lavoro femminile per avere una società più giusta e democratica.

È giunto il momento per le donne di porsi alla testa del cambiamento che dovrà necessariamente avvenire per definire e riconoscere il ruolo che esse hanno il diritto di assumere nella società civile. Auspichiamo che, al momento delle elezioni, le donne votino candidate meritevoli e  che lo Stato e le Regioni gestiscano al meglio le loro rispettive risorse, promuovendo, tra l’altro, politiche sociali coraggiose, in particolare, servizi pubblici a favore delle famiglie, a sostegno della formazione professionale delle donne per consentire reali sbocchi occupazionali.

Solo allora l’8 marzo potrà considerarsi una data da festeggiare e, successivamente, si spera anche da archiviare.

(*) Presidente della “Associazione Movimento Donna” Dipartimento di Giurisprudenza Università di Roma “Tor Vergata”                                                                

Aggiornato il 08 marzo 2020 alle ore 13:08