Spigolature in tema di emergenza

venerdì 27 marzo 2020


Le Libertà

Da più parti si sta sollevando con una certa preoccupazione una questione che, francamente, mi sembra mal posta. Si tratta della costituzionalità o meno delle attuali restrizioni alle libertà individuali e associative. Dico le libertà e non la libertà perché è evidente che ciò che viene sottoposto provvisoriamente a restrizione non è la libertà nei suoi cardini fondamentali, ossia di pensiero e di espressione, ma solo, anche se è molto costoso in termini umani, la libera circolazione e l’assembramento delle persone in luoghi pubblici. È ovvio che, di fronte ad una emergenza come quella che stiamo vivendo, qualsiasi Governo, come infatti sta accadendo, non può che ricorrere a misure eccezionali. Vigilare sul tempestivo ritorno alla vita ordinaria senza sbavature autoritarie è senz’altro opportuno ma, ad ora, non vedo problemi all’orizzonte se non quello, sicuro e incombente, della diffusione di un virus pericoloso contro il quale non disponiamo di antidoti se non del tipo che stiamo adottando.

Zagrebelsky docet?

Ma ecco sopraggiungere l’ammonimento dell’ex Presidente della Corte costituzionale a metterci in guardia su un aspetto speciale: la presenza dei militari per presidiare le strade. Secondo lui, l’impiego dei militari è una faccenda seria che esigerebbe prudenza e da adottare, se proprio necessario, attraverso una legge e non un semplice atto governativo. Il riferimento, non troppo velato, è ad un uso eccessivo della forza ed a possibili sviluppi non democratici anche in possibili situazioni future. Anche qui lo zelo prevale sulla razionalità. Se siamo in una emergenza che molti, forse troppi, definiscono assai simile ad una guerra, non si vede perché mai l’esercito dovrebbe rimanere nelle caserme in una sorta di quarantena protetta, mentre la popolazione sta passando un brutto quarto d’ora. Zagrebelsky sottolinea persino che, per prestare un servizio di controllo, non sono necessari i mezzi blindati. Corretto. Ma, generalmente, i militari, per circolare, usano mezzi non proprio simili a vetture di marca o a suv di moda e solo chi ha una inveterata sottostima delle Forze armate può essere colto dall’orticaria se vede in giro giovani militari armati, scendere dai propri mezzi di trasporto ordinari. La stessa cosa era accaduta, non solo in Italia, nelle varie occasioni di attacchi terroristici, senza che ne sia conseguita alcuna minaccia di militarizzazione permanente della società.

La prossemica

Sarà forse una mera questione accademica ma è il caso di osservare che l’espressione “distanza sociale”, adottata da tutti, è decisamente fuorviante. In sociologia, disciplina dalla quale deriva l’espressione, riferirsi alla distanza sociale significa riferirsi alla distanza, percepita e simbolica, fra i ceti sociali e non certo alla distanza fisica fra due o più persone. Per quest’ultima, l’antropologo Edward T. Hall ha avviato negli anni Sessanta una disciplina, chiamata prossemica, la quale, fra le altre cose, ha messo in luce le distanze fisiche che gli esseri umani adottano spontaneamente nelle loro relazioni, negli ambiti che egli chiama spaces o zones. Anche Hall adotta l’espressione distanza sociale, ma per indicare la distanza spontanea che assumiamo quando, per esempio, arriviamo alla fermata del tram dove c’è già un’altra persona che attende e che non conosciamo. Questa distanza va da 1 a 4 metri. La classificazione include poi lo spazio “intimo”, quello familiare, che può valere meno di un metro, quello “personale” che arriva ad un metro e quello “pubblico”, che adotteremmo nell’incontrare ufficialmente il Presidente, che si pone al di là dei 4 metri. La confusione può essere inevitabile, ma se la conoscenza di queste ed altre acquisizioni della ricerca nell’ambito delle scienze umane fosse comune, allora sarebbe anche più semplice e immediato far capire quale accorgimento spaziale sia opportuno in varie circostanze.

Mother Nature

Che l’ambiente naturale sia spesso incantevole non c’è dubbio. Ma troppo spesso pensiamo che esso sia solo fatto di prati in fiore, bei paesaggi e dolci colline. La natura, senza usare la maiuscola cara ad un’antica retorica, è però anche e, forse, soprattutto altro e solo raramente a nostro vantaggio. Non a caso la biologia sottolinea il carattere altamente “improbabile” della nostra esistenza e della nostra sopravvivenza. Il fatto che da poco più di un secolo la specie umana, decimata più volte dalle più diverse malattie in passato, si sia irrobustita grazie alle scienze e alle tecnologie, non significa che essa sia in grado, finalmente, di vivere in pace e serenità con la natura. Il rapporto dell’uomo con essa è del tutto asimmetrico: noi ci preoccupiamo di lei ma lei non ha alcuna speciale benevolenza per noi. Quando sosteniamo che la natura merita rispetto e che il suo equilibrio è sacro, non è chiaro se, fra le sue proprietà da rispettare, dovremmo includere anche i virus o i batteri più pericolosi – che Noè non avrebbe certo ospitato nella sua arca, se li avesse conosciuti – combattendo i quali modifichiamo comunque l’equilibrio nel quale sopravviviamo. Vi sono momenti nei quali i fatti ci costringono a ripristinare espressioni alternative a quella imperante che adotta la metafora della madre, tornando, quando se lo merita, a parlare di “lotta contro la natura” e non solo di un’illusoria e peraltro univoca relazione sentimentale.


di Massimo Negrotti