Volendo analizzare gli aspetti positivi che la pandemia da Covid-19 ha portato con se in Italia in questa inaspettata quanto lugubre primavera 2020 i più, un po’ per rasserenare gli animi, un po’ per consolazione, osservano la riduzione dell’inquinamento atmosferico nei centri urbani e ne traggono conclusioni, forse precipitose. Secondo alcuni studiosi la concentrazione di inquinanti nell’aria delle nostre città deserte si è abbassata rispetto ai dati di gennaio, secondo altri no oppure soltanto in parte. Ci chiediamo se è lecito affermare che “il Coronavirus abbatte l’inquinamento atmosferico”. Le foto pubblicate dalla European Space Agency parlano chiaro, le “macchie rosse” sulla pianura padana e sulle grandi città d’Italia si sono affievolite, quasi scomparse, ciò significa che le concentrazioni degli inquinanti in aria si sono ridotte a causa delle restrizioni alla circolazione, della riduzione delle attività lavorative e della chiusura delle scuole, misure imposte per arginare la diffusione del Coronavirus.

Ma di quali inquinanti stiamo parlando?

Nelle foto del satellite dell’Esa, Copernicus Sentinel-5P, un rosso più intenso indica una concentrazione più alta in parti per milione degli ossidi di azoto, i famigerati Nox. Gli Nox o ossidi di azoto, sono composti dannosi per la salute e per l’ambiente, il più pericoloso è l’No2, capace di irritare il nostro apparto respiratorio, provocare bronchiti croniche, asma ed enfisema polmonare. Gli ossidi di azoto hanno origine naturale (eruzioni vulcaniche, processi biologici, incendi), ma soprattutto antropica, si formano come sottoprodotti della combustione ad alta temperatura in cui l’aria è comburente, come quella che avviene all’interno delle camere di combustione dei motori degli autoveicoli. Altre fonti di ossidi di azoto sono le centrali termoelettriche e in genere tutti gli impianti a combustione di tipo industriale.

Le restrizioni alla circolazione dei veicoli e lo stop alla maggioranza delle attività lavorative in Italia allo scopo di arginare la diffusione del Covid-19 hanno così provocato la diminuzione immediata delle emissioni di Nox e con essa, la conseguente diminuzione delle loro concentrazioni rilevate in atmosfera, come le foto satellitari dimostrano. Nonostante ciò sui quotidiani continuiamo a leggere titoli di questo tipo: Coronavirus Roma, azzerato il traffico ma l’inquinamento aumentaoppure “Roma: la bufala dell’inquinamento delle auto. Polveri sottili oltre il limite nonostante il lockdown” (la Repubblica).

I valori registrati dalle centraline dell’Arpa a Roma a fine marzo dimostrano che i livelli delle sostanze inquinanti non scendono, come mai? Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità oltre ai composti di azoto respiriamo altre sostanze nocive come il biossido di zolfo (So2) e il monossido di carbonio (Co), l’ozono (O3), il benzene, il benzo(a)pirene e gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), i metalli e ovviamente il pericoloso particolato (Pm): con la riduzione della circolazione diminuiscono le emissioni e i No2 (Diossido di azoto) ma non si può dire lo stesso del particolato.

Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente (Aea) il particolato, cioè l’insieme delle particelle di aerosol sospese nell’atmosfera terrestre è l’inquinante atmosferico che provoca i maggiori danni alla salute umana in Europa e lo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) lo ha classificato come cancerogeno di gruppo uno. Il particolato è costituito da particelle liquide o solide che si distinguono in inalabili e respirabili: possono raggiungere le cavità nasali così come gli alveoli polmonari. Possono comprendere composti diversi come nitrati, cloruro di sodio, ammoniaca, nerofumo (black carbon), polveri minerali e arrivare più o meno in profondità nell’apparato respiratorio in base alla propria granulometria, minore è la dimensione del particolato, maggiore è la sua pericolosità.

Le particelle con un diametro inferiore a 10 micron (Pm10) e quelle fini inferiori a 2,5 micron (Pm2,5) sono le più pericolose, potendo penetrare nei nostri polmoni ed entrare nel flusso sanguigno. Secondo gli studi dell’Arpa Piemonte e dell’Ispra (Fonte: Ispra – XIV Rapporto Qualità dell’ambiente urbano) le fonti principali di Pm10 nell’aria delle città italiane sono gli impianti di riscaldamento domestico. Attivi da metà ottobre a metà aprile i camini e i caminetti, le caldaie, le stufe a legna, a pellet si dimostrano i maggiori responsabili della produzione delle polveri sottili nelle città. Durante la quarantena da Coronavirus le emissioni di particolato dovute al traffico automobilistico sono diminuite ma ciò non basta, i problemi legati alla qualità dell’aria persistono e dobbiamo considerare il possibile incremento delle emissioni di particolato dovute al maggiore utilizzo del riscaldamento domestico, dovuto alla permanenza in casa della popolazione.

I dati sulle concentrazioni di inquinanti vanno inoltre analizzati considerando una variabile fondamentale, l’andamento dei fenomeni meteorologici: una riduzione della circolazione di agenti inquinanti, in presenza di condizioni di stallo atmosferico, ha effetti contenuti sulla qualità dell’aria. Nel breve termine il fattore determinante, che prevale rispetto ai fattori emissivi delle polveri è l’instabilità meteorologica, secondo gli studi dell’Arpa Lombardia e dell’Arpa Veneto la presenza di particolato nell’aria dipenderebbe anche e soprattutto dalle condizioni atmosferiche, dall’azione e dalla permanenza di venti e piogge. Se permangono condizioni di stabilità atmosferica, il particolato può non diminuire nemmeno in presenza di un abbassamento deciso delle emissioni perché le polveri rimangono sospese in aria.

Il particolato è il carrier del virus?

Secondo la Sima, Società italiana di medicina ambientale, il particolato favorirebbe la diffusione del Covid-19 nelle aree dove la concentrazione di polveri sottili è maggiore, proprio le aree più inquinate d’Italia e più industrializzate. La società in un paper di posizione condiviso con l’Università di Bologna e con l’Università di Bari, evidenzia come il numero di casi infetti da Covid-19 sia maggiore nelle aree italiane in cui si registra il superamento dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10. Secondo queste teorie la Lombardia sarebbe quindi l’epicentro dell’emergenza sanitaria da Coronavirus perché più colpita dall’inquinamento atmosferico prodotto dalle industrie, dai riscaldamenti e dal traffico delle auto. Il particolato atmosferico potrebbe fungere da “carrier”, cioè da vettore di trasporto per i virus, la sua concentrazione assume così grandissima importanza sia per il numero dei contagiati che per la velocità del contagio. La relazione tra concentrazione di particolato in atmosfera e diffusione del Coronavirus non è però al momento scientificamente provata, la risposta arriva dall’Ias, Italian Aerosol Society che pubblica: “Nessuna evidenza scientifica sul rapporto tra inquinamento e Coronavirus”, sostenendo che l’esposizione alle concentrazioni di Particolato oltre i limiti consentiti aumenta la probabilità di contrarre malattie respiratorie croniche e che peggiora la condizione di salute dei pazienti ma che non si conoscono in modo approfondito i meccanismi di interazione tra il virus e le particelle di aerosol né i fenomeni secondo i quali un soggetto maggiormente esposto al Pm10 possa contagiarsi più facilmente cioè possa ritenersi più suscettibile al contagio, non si conoscono ancora in modo sufficiente il tempo di vita del virus sulle superfici, né i fattori che lo determinano.

Di parere opposto alla Sima anche Ispra che come Ias ritiene prematura l’affermazione che esista un rapporto diretto tra superamento dei livelli di soglia del Particolato e contagi da Covid-19 ma aggiunge che è possibile che alcune condizione meteorologiche tipiche del nord Italia in questo periodo, quali la bassa temperatura e l’elevata umidità atmosferica, possano creare un ambiente che favorisce la sopravvivenza del virus.

Secondo l’Arpaveneto la relazione di causa – effetto tra l’inquinamento atmosferico e la diffusione del coronavirus non esiste ancora e aggiunge: “La valutazione di tutti gli aspetti legati alla salute, inclusa la dinamica epidemiologica in atto e le modalità di diffusione del virus, sono come noto di esclusiva competenza delle autorità sanitarie”. Altro aspetto da considerare è l’impatto sulla popolazione di ipotesi ancora tutte da verificare, esiste il rischio che qualcuno possa pensare che il virus si trasmetta con la polvere e che possa modificare di conseguenza le misure di sicurezza adottate.

La Sima nel suo paper fa riferimento agli studi sulla diffusione dei virus nella popolazione delle aree colpite già presenti nella letteratura scientifica considerando il particolato atmosferico un efficace vettore per il trasporto, la diffusione e la proliferazione delle infezioni virali. Tra le pubblicazioni scientifiche analoghe ricordiamo lo studio condotto per l’infezione da Sars del 2003, secondo cui il coronavirus CoV-2 causò un numero maggiore di vittime nelle regioni cinesi con livelli di inquinamento dell’aria maggiori, circa l’84 per cento rispetto alle aree meno inquinate. Per il mondo scientifico l’ipotetica relazione tra inquinamento e diffusione delle infezioni virali per diventare tesi avrà bisogno di essere rigorosamente dimostrata. La sfida è di fondamentale importanza, di quelle che segnano la storia.

Aggiornato il 03 aprile 2020 alle ore 15:21