Sei mesi di tempo per salvare l’Inpgi

lunedì 1 giugno 2020


L’Istituto di previdenza dei giornalisti (Inpgi) ha 6 mesi di tempo per definire le politiche di riequilibrio della gestione. I conti sono sempre più in rosso e l’ipotesi caldeggiata dalla presidente (dal 2016) Marina Macelloni di allargare la platea degli iscritti ai cosiddetti “comunicatori” non sembra più praticabile. Con un comunicato congiunto le Associazioni dei professionisti e dei dirigenti della Cida hanno detto ufficialmente no al loro passaggio dall’Inps all’Inpgi. Un duro colpo alle strane strategie degli attuali vertici dell’istituto costretti ora a varare un progetto credibile, partendo dalle analisi del mercato editoriale e dai provvedimenti che possono essere presi per rimettere in sesto un bilancio i cui dati consuntivi confermano, sempre secondo le Associazioni Cida, Ferpi, Una, Ascai, “un dissesto finanziario annunciato: l’assestamento al bilancio 2019 prevede un rosso di 169 milioni di euro e il preventivo 2020 un peggioramento fino a 190 milioni di euro”.

Di fronte a questi dati i cosiddetti “comunicatori”, stimati in circa 20mila, non intendono uscire dall’Inps, preoccupati già per le loro pensioni. Sono mesi che ci s’interroga sulle cause del dissesto dell’Inpgi 1 che oggi conta appena 15mila iscritti circa in attività e quasi 9mila pensionati dopo l’allargamento degli stati di crisi e la concessione di prepensionamenti. Anche di grandi gruppi come Corriere della sera, Gazzetta dello Sport, Repubblica, giornali del gruppo Monti-Rifferser, radio nazionali e locali. La prima constatazione è il calo dei giornalisti dipendenti diminuiti di oltre 3mila unità in sei anni, con un peggioramento nel 2019 quando le perdite hanno superato le 400 unità e le conseguenze del blocco dell’attività editoriale e della pubblicità a causa del coronavirus non sono state ancora quantificate. Nel Decreto Rilancio pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 19 maggio è previsto il differimento al 31 dicembre del termine entro il quale l’Inpgi deve concludere il processo di riequilibrio. Dietro l’angolo c’è il commissariamento, già previsto dal Decreto legislativo 509/94.

In questi mesi sarà compito dei componenti del “tavolo tecnico” di concertazione presso il Ministero del lavoro, con la partecipazione del ministero dell’Economia, del Dipartimento dell’editoria della presidenza del Consiglio e delle parti sociali (sindacati dei giornalisti, Federazione degli editori) trovare gli aspetti operativi del processo di riequilibrio. La soluzione non potrà essere quella indicata dal precedente governo che prevedeva di trasferire all’Inpgi dal 2023 i “comunicatori”. Ipotesi bocciata da tutte le associazioni e non realizzabile per l’incertezza del perimetro al quale ci si riferisce e soprattutto per mancanza di chiarezza sui ruoli e compiti delle figure che lavorano nell’informazione e nella comunicazione. Occorre individuare un piano attuariale ventennale dal quale si possa ricavare la sopravvivenza dell’ente che oggi ha un patrimonio di circa un miliardo e mezzo ma che diventerà negativo nel 2028. Con la crisi attuale determinata anche dal crollo delle vendite in edicola dei giornali della carta stampata e dalla riduzione dei proventi degli introiti pubblicitari i margini di manovra sono scarsi. Tra questi il recupero delle migliaia e migliaia di posizioni giornalistiche negli uffici delle pubbliche amministrazioni (Regioni, Comuni, enti, Asl, ospedali) e nelle aziende industriali, commerciali, turistiche e culturali che versano, se li versano, i contributi all’Inps.


di Sergio Menicucci