Distruggere monumenti e purgare il lessico per raddrizzare la Storia?

martedì 30 giugno 2020


Non vorrei fornire nuovi spunti agli invasati che distruggono monumenti e censurano la nostra libertà di usare legittime parole nel nome di un malinteso dovere di riparazione per colpe sepolte nelle pagine della Storia. Un macigno che, secondo i penitenti di cui sopra, grava sull’Occidente e i suoi pallidi (si può dire?) abitanti.

Lo schiavismo, come è noto a tutti, è stato pratica diffusa dai tempi dell’antichità: razzie e sottomissione delle popolazioni conquistate erano pratica comune. Anche tra le tribù africane. Fino all’epoca moderna, migliaia di cristiani erano caduti in schiavitù per le incursioni saracene nelle penisole del Mediterraneo. Ordini religiosi organizzarono, a più riprese, spedizioni per la loro liberazione. Infatti il Corano consentiva la riduzione in schiavitù ma solo quando praticata a danno di infedeli. Lo stesso Maometto aveva una schiava sessuale, Marya. Così i trafficanti arabi diventarono il principale motore del traffico schiavista dall’Africa. Si stima che circa 20 milioni di africani caddero nelle reti del commercio di schiavi condotto dagli arabi. La schiavitù cadde in disuso nei Paesi arabi per le pressioni delle nazioni europee più che per autonoma presa di coscienza. La patria della Mecca ha ufficialmente dichiarato illegale la schiavitù solo negli anni Sessanta del Novecento.

Il Nuovo Mondo divenne il principale mercato di sbocco del traffico alimentato dagli schiavisti arabi. L’economia americana in forte sviluppo alimentava la domanda di mano d’opera robusta e a basso costo. Non molti sanno, invece, che quasi i 2/3 dei migranti europei che vi approdarono nelle prime ondate, inseguendo il sogno americano, non erano uomini liberi. Si trattava, infatti, di “Indentured Servants” ossia di migranti che in cambio del passaggio dell’Atlantico diventavano lavoratori in condizione di semi-schiavitù per un lungo periodo di anni. Senza alcun compenso o altro diritto se non cibo e vestiario. Anche dopo la dichiarazione di Indipendenza, agli indentured servants, rimase precluso l’accesso alla cittadinanza. Il padrone poteva cedere il servant ad altri e poteva allungare la durata del vincolo in caso di fuga o altre inadempienze.

Le pagine della Storia sono piene di macchie e ombre. La pretesa di raddrizzare i torti, cambiando nomenklature e abbattendo monumenti, è un esercizio illusorio e ipocrita.


di Raffaello Savarese