Il ritorno di Ares

lunedì 13 luglio 2020


Ares è tornato! Questa volta è giunto in silenzio, quasi in punta di piedi, senza il suono di cembali, di flauti e di tamburi e ora sogna nuovi campi di battaglia, scontri e duelli. Qualche decennio fa i profeti dell’illusione avevano vaticinato la scomparsa del dio della guerra: nel giardino globale, avevano detto, non vi sarebbero state più guerre e gli arsenali svuotati sarebbero diventati granai. Sono stati smentiti, il giardino globale è diventato una giungla planetaria, dove i Tyrannosaurus Rex si stanno affilando la zanne. I grandi leviatani sono le superpotenze che, quasi in sordina, si riarmano e lavorano con lena, affinando i classici sistemi d’arma e inventandone dei nuovi. Alcuni stanno operando sui missili ipersonici, velivoli con una velocità superiore Mach 5 e, dunque, non intercettabili. Sembra che la Russia abbia già a disposizione lo Yu-71 e lo Yu-74, mentre la Cina avrebbe approntato il Df-17, meno veloce ma pur sempre imprendibile. Gli Stati Uniti non stanno a guardare e, sapendo che ogni arma può essere neutralizzata, cercano la giusta risposta all’ipervelocità.

Tutti poi operano sugli ordigni nucleari per ottenere bombe e ogive miniaturizzate, facilmente trasportabili e con pochi chilotoni di potenza, tanto da essere usati come dispositivi tattici. Vi sono, tuttavia, altri orizzonti possibili e allettanti, in quanto potrebbero mettere in ginocchio l’avversario con poco clamore. Uno di questi è rappresentato dal fronte dell’informatica. Non vi è paese al mondo che non dipenda da tale settore e il colpirlo significherebbe collassare produzione, trasporti, comunicazioni, sicurezza. I danni economici sarebbero enormi e la vittima condannata al caos. Tutto ciò avverrebbe tacitamente, senza rivendicarne la paternità. Vi potrebbero essere dei sospetti, ma basterebbe negare con indignazione per salvare la faccia. L’altro fronte è quello della guerra batteriologica, di cui se ne fa un gran parlare, per l’avvento del Covid-19, la cui origine rimane un po’ misteriosa, nonostante sia ufficialmente attribuita a pangolini e pipistrelli.

La storia della guerra batteriologica è antica quasi quanto l’uomo. Sembra che i primi a usarla siano stati gli Assiri che nel VI secolo a.C. si dedicarono ad avvelenare i pozzi dei nemici; il loro esempio fu seguito dai Greci che, nell’assedio di Cirra, usarono l’elleboro per inquinare l’acquedotto cittadino. Furono questi episodi più da guerra chimica che biologica; quest’ultima fu inaugurata da Annibale che nel 184 a.C., in una battaglia navale, usò vasi di terracotta ricolmi di rettili velenosi per aver la meglio sui nemici. Quando, infatti, gli otri scagliati da catapulte s’infransero fra i banchi dei rematori avversari questi, presi dal panico, smisero di manovrare e furono facili prede dell’astuto stratega. Si dice, inoltre, che gli sciti infettassero le punte delle frecce con liquame di putrefazione e che Mitridate donasse ai nemici miele tossico. Anche la celebre peste del 1348 ebbe origine da un episodio di guerra batteriologica. Tutto iniziò nel 1347 quando i Tartari di Gani Bek Khan, assediavano Caffa, importante scalo genovese in Crimea. L’armata assediante era funestata dalla peste, i soldati morivano numerosi e fu allora che il Khan decise di vendicarsi, facendo scagliare con mangani corpi di appestati entro le mura. I difensori se ne liberarono, gettando i cadaveri in mare, ma il contagio si diffuse in città, per poi, tramite le galee genovesi, estendersi all’intera Europa.

Molti secoli dopo, durante le guerre coloniali, stoffe infette da vaiolo furono usate per sterminare gli indigeni, era un sistema efficiente, inaugurato dagli inglesi nel 1763 durante la guerra del Pontiac e adoperato fino a tempi relativamente recenti. Un vero e proprio ordigno biologico fu messo a punto solo dai giapponesi, durante l’occupazione della Manciuria. Si trattava della bomba Uji-50 un oggetto di 25 chilogrammi che poteva essere caricato con spore di antrace o con 30mila pulci portatrici di peste. Sembra che abbia mietuto qualche centinaia di migliaia di vittime. Finalmente il 10 aprile del 1972 una convenzione internazionale proibì l’uso e la produzione di armi biologiche. Siamo, tuttavia, certi che la ricerca non continui? Siamo sicuri che in qualche laboratorio super segreto non si cerchi di mettere a punto un virus, caso mai selettivo, che infetti prevalentemente esseri umani con determinate caratteristiche e ne risparmi altri? Il dubbio permane, mentre i Tyrannosaurus Rex continuano ad affilarsi le zanne e i più piccoli Velociraptor aspirano a diventare più grandi per far udire il loro ruggito nella giungla globale del terzo millennio. 

 


di Luigi Pruneti